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L’abiura di Zagrebelsky

I magistrati italiani costituiscono “un corpo professionale che negli ultimi decenni si è corporativizzato. Le correnti hanno fatto sì che le strutture organizzative all’interno della magistratura si siano fossilizzate. In pratica sono diventate macchine di potere, non macchine ideologiche”. Eppure quelle ideologiche basterebbero e avanzerebbero – aggiungo io – a fare drizzare i capelli a chi li ha, e a diffidare dell’amministrazione della giustizia.

Già come sole “macchine di potere”, comunque, le correnti togate “hanno minato la fiducia nella magistratura”, facendola cadere nella polvere dalle stelle raggiunte negli anni di Mani pulite, quando – aggiungo di nuovo io – persino il capo della mitica Procura della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli, si allarmava del favore popolare di cui godevano i suoi sostituti, a cominciare da Antonio Di Pietro. “Facci sognare”, gridavano per le strade e scrivevano sui muri di Milano, e sulle proprie magliette, i tifosi del magistrato diventato ormai simbolo della guerra a Tangentopoli.

Sapete chi ha parlato delle degenerazioni correntizie dei magistrati nei termini lodevolmente duri e crudi che ho riportato? Silvio Berlusconi, il tanto odiato ex presidente del Consiglio e tuttora imputato o indagato in vari tribunali? No. Egli è forse troppo preso in questi giorni da altri problemi, “ostaggio” per giunta, come ha appena detto Matteo Renzi alla Stampa, del rampante  leader leghista Matteo Salvini sul palco di Bologna.

Ne ha parlato allora proprio lui, Renzi, che ha saputo ereditare da Berlusconi se non l’odio, quanto meno la diffidenza organica dei magistrati? Dal cui recente congresso si è levata contro il governo l’accusa del presidente dell’associazione, Rodolfo Sabelli, di occuparsi più di come difendere la riservatezza dei cittadini dalle arbitrarie e invasive diffusioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali, disposte dagli uffici giudiziari, che di come lottare di più contro la mafia. No, neppure Renzi, alle prese adesso con il percorso, al solito, difficile dell’annuale legge finanziaria, o di stabilità. Per non parlare della confusione, anch’essa solita, a sinistra. Da cui il presidente del Consiglio, in verità, ha poco da temere, ma che lo impegna ugualmente nelle polemiche, utili a farlo apparire sempre più “centrista”, e non solo centrale, come gli ha appena rimproverato su Repubblica Eugenio Scalfari.

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Va bene. Non è stato Berlusconi. Non è stato Renzi. Non può essere stato naturalmente neppure il giovane ministro della Giustizia Andrea Orlando, che corre col casco e l’idrante del vigile del fuoco ogni volta che avverte scintille nei rapporti fra magistratura e governo. E allora può essere tornato a lamentarsi dello strapotere delle correnti dei magistrati solo il loro collega Raffaele Cantone, ora presidente dell’Autorità anticorruzione, già attaccato proprio per questo nel recente congresso dal segretario dell’associazione, Maurizio Carbone, fra tali e tanti applausi dei delegati che lo stesso Cantone ha minacciato le dimissioni dal sindacato, troppo a lungo considerata “la mia casa”. Dalla quale invece il presidente Sabelli è pronto a registrarne l’uscita, senza molto rammarico, se veramente Cantone dovesse formalizzare le dimissioni, e non si mettesse a copiare le infelici gesta dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, dimessosi per poi dimettersi da dimissionario e infine cacciato dalla maggioranza dimissionaria del dimissionato e disciolto Consiglio Comunale. Scusate del solito biticcio di parole.

Ebbene, neppure Cantone è tornato sull’argomento delle correnti giudiziarie e dei loro giochi di potere, evidentemente sfiancato dalla precedente sortita.

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A questo punto debbo proprio dirvelo il nome e il cognome di chi ha osato vendicare in qualche modo Cantone rilanciando le sue proteste per le degenerazioni correntizie dei magistrati. E’ il presidente emerito, cioè ex, della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, intervistato per La Gazzetta del Mezzogiorno da Angela Leucci dopo un incontro con gli studenti di un liceo di Maglie. Ai quali egli aveva appena parlato del suo ultimo libro, “Liberi servi”, nell’ambito di un dibattito sul tema “Peccatori sì, corrotti no”.

Visto il prestigio di cui gode Zagrebelsky, sempre pronto a intervenire in difesa della Costituzione minacciata da riforme troppo improvvisate o rischiose, com’egli considera anche quella portata avanti dal governo Renzi, specie quando potrebbero compromettere il principio irrinunciabile dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati, chi avrà adesso il coraggio di informare l’associazione guidata da Sabelli e Carbone dell’opinione che si è fatta di loro e dei loro colleghi anche uno come il presidente emerito della Corte Costituzionale? Uno dei tanti, lo so, vista la strana frequenza degli avvicendamenti al vertice di quella che una volta si chiamava Consulta, con un nome che è rimasto al Palazzo dove lavorano i giudici costituzionali, di fronte peraltro al Quirinale. Ma, fra i tanti, forse il più blasonato a sinistra.

Ma sarà curioso anche vedere se e chi ci seguirà nella diffusione nazionale dello sfogo strappato a Zagrebelsky dalla fortunata ma anche brava giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno.

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