La partita per la nomination repubblicana s’avvia a diventare un “derby della Florida” tra l’ex governatore del Sunshine State Jeb Bush e il senatore al primo mandato Marco Rubio: una partita aperta tra mentore e discepolo, dove l’allievo appare oggi favorito sul maestro. Di qui alle primarie, la strada è ancora lunga, ma c’è la sensazione che la corsa repubblicana possa trovarsi a una svolta decisiva: Rubio, infatti, ha innestato la quarta e messo la freccia per superare Bush come ‘candidato dell’establishment’. Il senatore insidia pure il primato dell’ex governatore sui finanziamenti e ha appena ottenuto il sostegno di Paul Singer, uno degli uomini più ricchi ed influenti d’America, il principale donatore repubblicano.
C’è da aspettarsi che Rubio finisca sotto la lente d’ingrandimento della stampa, man mano che le sue chance di ottenere la nomination repubblicana per Usa 2016 crescono: lo “scontrino-gate” della Florida è un’avvisaglia. E c’è chi avverte che contro di lui potrebbero scattare pratiche di denigrazione personale rivelatesi efficaci in passato: come quando, nel 2004, George W. Bush, un imboscato del Vietnam, riuscì a far gettare una luce negativa sul candidato democratico John Kerry, che in Vietnam ci era andato ed era stato ferito. L’operazione ebbe talmente successo da divenire un sostantivo, lo ‘swiftboating’.
Nei sondaggi, sono per ora nettamente avanti Ben Carson, il neurochirurgo nero convinto che le piramidi non siano tombe di faraoni, ma depositi di grano fatti costruire da Giuseppe, e Donald Trump, il magnate dell’immobiliare che accusa la Federal Reserve di essere in combutta con la Casa Bianca. Ma è opinione diffusa che i due campioni dell’antipolitica usciranno prima o poi di scena. E quando si cominceranno a contare i delegati alle convention, con le assemblee nello Iowa il 1° febbraio 2015 e le primarie nel New Hampshire il 9 febbraio, verranno avanti i candidati politicamente più strutturati e che hanno l’appoggio dell’establishment del partito.
Ed è proprio qui che si gioca il duello tra l’ex governatore e il senatore. Fino a ora, Jeb Bush, figlio e fratello rispettivamente del 41° e 43° presidente degli Stati Uniti, era considerato l’uomo dell’apparato del partito, nel folto gruppo – sono ancora 15 – di aspiranti alla nomination repubblicana. Ma Jeb è stato finora deludente: non mostra grinta e non ha vinto nessuno dei tre dibattiti televisivi già svoltisi, anzi è sempre andato male; e nei sondaggi naviga costantemente sotto il 10%, dietro non solo Carson e Trump, ma pure Rubio e Ted Cruz, senatore del Texas, il candidato preferito dal Tea Party. Sta al quinto posto, più o meno alla pari con Carly Fiorina, l’unica donna, ex ceo di Hp, che ha fiammate nei dibattiti e poi sparisce dai radar.
Di Jeb, si sa più o meno tutto: 62 anni, sposato con Columba, di origini messicane, il potenziale Bush III punta sul sostegno dell’apparato e sul voto dei ‘latinos’. Proprio come fa Rubio, che è di origini cubane: nato a Miami da genitori emigrati dall’isola, 44 anni – è il più giovane fra gli aspiranti alla nomination -, avvocato, sposato, quattro figli. Eletto deputato dello Stato, a 35 anni era presidente del Parlamento di Tallahassee. Nel 2010, puntò a divenire senatore e vinse in rimonta con largo margine, grazie anche all’appoggio di Jeb. In un libro dal titolo “100 idee innovative per il futuro della Florida” si trovano molte delle cose che si ripromette di fare come presidente.
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