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Chi è Vitaly Mutko, l’uomo di Putin accusato del doping di Stato

Lunedì pomeriggio è stato diffuso pubblicamente un rapporto di oltre 300 pagine redatto dalla Wada, l’agenzia mondiale anti doping, in cui si analizza l’uso sistematico del doping tra gli atleti russi. Secondo il report, l’uso di queste sostanze fra gli atleti di Mosca coinvolge il Comitato olimpico, il ministero dello Sport e l’Agenzia anti-doping russa (Rusada) e alcuni membri della Iaaf e della Wada, nonché i servizi segreti.

È una vicenda che, secondo molti analisti, coinvolgerà tutto il mondo dell’atletica russa, con medaglie revocate e squalifiche a vita, e che colpisce un settore di orgoglio nazionalistico (e nazionale), con cui la Russia ha storicamente diffuso la propria immagine nel mondo. L’atletismo è anche un tema propagandistico usato da Vladimir Putin: hanno fatto il giro del mondo le immagini con cui il presidente partecipava in prima persona a match di judo o incontri di hockey.

LA VICENDA E IL RUOLO CHIAVE

Il personaggio chiave dietro a questa organizzazione di “doping di Stato” sarebbe, secondo il rapporto, il ministro dello sport russo Vitaly Mutko. Dalle indagini della commissione guidata dall’avvocato canadese ed ex presidente della Wada Dick Pound, sembrerebbe che il direttore di un laboratorio antidoping di Mosca abbia ordinato la distruzione di 1417 campioni di test antidoping per sottrarli alle indagini. Il report dice che il direttore di quel laboratorio “è stato personalmente istruito e autorizzato” dall’alto alla distruzione delle prove tre giorni prima che i commissari della Wada arrivassero a Mosca lo scorso dicembre. Da chi?

“È impossibile per lui [Mutko] non essere a conoscenza dell’organizzazione illecita. E se ne è a conoscenza, ne è complice” ha dichiarato Pound. Secondo alcune fonti pubblicate dai media internazionali, a dare quell’ordine di distruggere i campioni di sangue al laboratorio, sarebbe stato proprio Mutko, servendosi dell’aiuto dell’onnipotente direttore dei servizi segreti russi. Nel rapporto si menziona anche il fatto che agenti del Fsb, il servizio segreto federale (l’erede del Kgb), si sarebbero occupati personalmente di manipolare fialette di atleti russi dopati, per questo l’accusa più grave verso la Russia è che il “programma di doping” sia stato sostenuto dallo Stato.

L’UOMO DI PUTIN 

Cinquantasette anni tra poco (l’8 dicembre), il ministro Mutko viene dal Sud della Federazione. Krosnodar, la sua città d’origine, è a pochi chilometri dal Mar Nero. Ha una lunga storia di incarichi legati al mondo dello sport. È stato presidente della squadra di calcio dello Zenith San Pietroburgo dal 1995 al 2003, poi è arrivato alla guida della Federcalcio russa: è stato durante questo suo incarico che la Russia ha ottenuto la possibilità di ospitare i Mondiali di calcio del 2018 (Mutko è anche membro del Comitato esecutivo della Fifa). Durante il periodo dell’assegnazione, criticò aspramente il calcio inglese perché corrotto e danneggiato (l’Inghilterra si contendeva il torneo con la Russia), per poi spiegare che le sue parole erano state fraintese dai media britannici ma che comunque, piuttosto che accusare la Russia di corruzione, gli inglesi dovevano prendere coscienza che scavando a fondo “la corruzione c’è in tutti i Paesi”. Ora la stessa Fifa si trova in una situazione di imbarazzo e sta aprendo un’inchiesta etica indipendente, visto che Mutko è anche il presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali russi.

Dal 2008 al 2012 è stato ministro dello Sport, Turismo e Politiche giovanili. Poi Putin, passato nuovamente da primo ministro a presidente, gli ha tolto alcune deleghe lasciandogli solo quella allo sport. Secondo le cronache Mutko è un uomo di Putin, uno dei fedelissimi.

IL REPORT, L’INCHIESTA GIORNALISTICA E I “NIET” DI MUTKO

È stato durante una delle riunioni organizzative internazionali in vista dei Mondiali, svolta il 22 settembre a Zurigo, che la Wada ha incontrato Mutko presso l’hotel Baur au Lac “per offrire l’opportunità la ministro di collaborare con l’indagine”, ha scritto il Guardian, ma lui avrebbe negato i fatti e detto che il suo ministero si occupa di “costruire i migliori laboratori ed i migliori metodi di controllo sugli atleti nell’interesse dello sport pulito”.

Il report della Wada dedica una sezione specifica al ruolo del ministro Mutko, accusandolo di esercitare un’influenza impropria sulla Rusada, sostenendo che ci sono “seri dubbi” sul fatto che l’agenzia antidoping russa lavori in modo indipendente dal ministero. Mutko, secondo il rapporto, “non ha fatto nulla per indagare sulle gravi accuse di comportamento criminale da parte dei funzionari sportivi russi”.

Accuse liquidate dal ministro come “infondate”. Reazione analoga arrivò dopo che nel dicembre 2014 un documentario del canale tedesco Adr dal titolo “Top-secret Doping: How Russia makes its Winners”, asserì che “più o meno il 99% degli atleti russi è dopato” per mano di una sorta di programma statale. Lo scoop produsse l’interessamento della Wada, che incaricò la commissione guidata da Pound di verificarne la correttezza. A proposito dell’inchiesta giornalistica, Mutko ha sostenuto tre diverse versioni: prima ha detto che un’indagine era stato condotta e la relazione è in fase di pubblicazione; poi che tutti gli atleti coinvolti erano stati intervistati e avevano negato ogni genere di complicità e dunque la questione era stata abbandonata in Russia; infine, la terza versione, che erano stati individuati e puniti i responsabili.



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