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Russia, tutti gli effetti geopolitici dello scandalo sul doping di Stato

Vladimir Putin

Proprio mentre sembrava che il mondo non volgesse più lo sguardo all’Ucraina, distratto dalle manovre russe in Siria, su Vladimir Putin si è abbattuto un nuovo ciclone, che coinvolge stavolta l’atletica di Mosca. Doping di Stato: è l’accusa che la commissione della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, documenta in un rapporto di 323 pagine che punta l’indice contro l’Fsb, i servizi segreti russi, e il ministro dello sport di Mosca Vitaly Mutko. Tutti sospettati, durante le Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi, di aver ordinato di “manipolare alcune specifiche provette” per le analisi antidoping. A seguito dell’indagine, la commissione guidata dall’avvocato canadese ed ex presidente della Wada, Dick Pound, ha chiesto alla Iaaf, l’Associazione internazionale delle federazioni di atletica leggera, anch’essa accusata, una reazione esemplare: la radiazione a vita di cinque atleti e la squalifica per due anni di tutti gli atleti russi, che salterebbero così olimpiadi ed europei. Un danno d’immagine per Putin che, per molti analisti, ha edificato sul mito di uomo forte e vincente, anche nello sport, le fondamenta della propria macchina del consenso interno. Ma le ripercussioni peggiori di questo scandalo, per il Cremlino, potrebbero arrivare sul fronte geopolitico.

LA RABBIA DI PUTIN

“Dopo gli attentati alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Sochi, lo sport porta ancora problemi al presidente russo. La vicenda ha un’aria stantia che ricorda l’Urss, anche se vedo pochi grattacapi per Putin, sul fronte domestico. I russi non sono puritani e sono abituati a qualche scandalo” spiega a Formiche.net un giornalista di lungo corso come Alberto Pasolini Zanelli, saggista ed editorialista. Forse, rileva ancora l’ex inviato speciale di quotidiani italiani tra cui il Giornale, “in assenza di altri problemi, come l’impegno in Siria a sostegno di Bashar al-Assad e la strage del volo Metrojet, questo scandalo avrebbe potuto avere conseguenze peggiori”. “Ma non bisogna dimenticare che l’opposizione del Cremlino è elitaria ed intellettuale, difficilmente potrà metterlo sotto scacco su questo aspetto”. Ad innervosire lo “zar” e a creargli rogne potrebbero essere invece gli effetti internazionali dello scandalo, che, nell’establishment russo, è stato descritto come “un attacco politico”.

CHI ESULTA E CHI NO

“Putin sbaglia ad additare l’Occidente di aver costruito ad arte questo dossier”. Già inviato speciale di esteri e corrispondente dagli Stati Uniti per i quotidiani del gruppo Monti-Riffeser e per il Giornale di Montanelli, e ora firma del quotidiano Italia Oggi, Pasolini Zanelli ritiene che Washington, e “in particolare il lavoro diplomatico di ricucitura del segretario di Stato John Kerry“, possa essere anzi “danneggiato” da queste nuove tensioni, che “fanno esultare solo i falchi, ma molto meno il presidente Barack Obama”.

COSA FARANNO MERKEL, CAMERON E GLI ALTRI LEADER

Mentre “la Cina ignorerà il fatto”, per Pasolini Zanelli sarà interessante guardare alle reazioni dei maggiori Paesi occidentali, europei in testa, che reagiranno probabilmente in modo diverso. ” Quanto è accaduto non influenzerà le operazioni russe all’estero, anche se, in un certo senso, accrescerà l’isolamento internazionale del Paese, seppur con le dovute differenze”. A prescindere da Washington, già ai ferri corti con Mosca per la crisi di Kiev, “Francia e Italia, in virtù dei buoni rapporti col Cremlino, non reagiranno in modo scomposto a questo scandalo, al di là delle rituali dichiarazioni ufficiali”. A rendere il clima teso ci pensano già le sanzioni. La nebbia tra Londra e Mosca, invece, potrebbe infittirsi. “Tra Regno Unito e Russia i rapporti sono sempre più freddi. Il caso doping potrebbe costituire un nuovo elemento di scontro tra i due Paesi e non mi stupirebbe se assistessimo a velenosi scambi di accuse”. Incerto invece, l’atteggiamento della Germania, che per l’editorialista vive forti divisioni al suo interno. “La cancelliera tedesca Angela Merkel è assorbita nei suoi confini dal problema dei migranti e all’esterno dalla costruzione della sua leadership europea. Quando si tratta di parlare della Russia, Berlino è divisa dal bisogno di tutelare i forti rapporti economici con Mosca e dalla necessità di dimostrare agli altri Paesi dell’Unione che sa fare la voce forte non solo con i deboli, come l’Ungheria, ma anche con i forti. Bisognerà vedere se la Germania sposerà la linea franco-italiana o quella britannica. Nel secondo caso sarebbero dolori”.



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