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Perché i jihadisti filo Isis terrorizzano l’Egitto

Il disastro dell’A321 russo, precipitato nel Sinai provocando la morte di 224 passeggeri e membri dell’equipaggio, ha attirato l’attenzione sul terrorismo in Egitto. È il Paese arabo più popoloso. È dal 1979 uno dei pilastri della stabilità in Medio Oriente, dopo l’accordo di pace con Israele. L’Egitto attraversa un periodo difficile. All’interno, il regime militare creato dal colpo di Stato dell’estate 2013, che ha destituito il presidente Mohamed Morsi ed eliminato il potere della Fratellanza Musulmana, ha fatto registrare l’aumento dell’influenza di gruppi jihadisti salafiti, atti terroristici eseguiti dalla fazione più militante della Fratellanza Musulmana e una recrudescenza, dal 2011 e, soprattutto, dal 2013, del terrorismo nel Sinai (triangolo fra l’Africa e l’Asia di 60.000 km2 con 600.000 abitanti, beduini nomadi stanziati in parte nell’interno montagnoso). All’esterno, l’Egitto risente, da un lato, del caos della Libia, da cui affluiscono armi e miliziani, dall’altro, delle tensioni esistenti fra Israele e Hamas. A ciò si aggiungono la crisi economica e un alto tasso di disoccupazione.

Nella penisola del Sinai agisce un agguerrito gruppo jihadista – Ansar Bayt al-Maqdis – Difensori della Città Santa, cioè di Gerusalemme. Prima, faceva riferimento ad al-Qaeda, ma nel novembre 2014 si è affiliato all’Isis, assumendo il nome di Vilayet del Sinai, provincia del Califfato. Ha attaccato soprattutto militari e poliziotti. Si suppone che riceva armi ed esplosivi da Hamas, branca della Fratellanza Musulmana, in lotta con il Governo militare del Cairo dopo l’attacco subito e da cui è stato creato in odio contro il laico al-Fatah.

Dal 2013 al 2015 ha ucciso oltre 700 membri delle forze di sicurezza, il doppio di quelli dei due anni precedenti. Il suo livello di sofisticazione si è accresciuto. Ha tentato di uccidere il ministro dell’Interno, eliminato il procuratore generale, effettuato un attentato al Consolato Italiano del Cairo, abbattuto un elicottero, attaccato una corvetta con un missile antinave, sabotato il gasdotto che rifornisce Israele e la Giordania, effettuato vari attentati suicidi, dimostrato di possedere una buona capacità di maneggiare esplosivi. Non ha finora mai effettuato attentati in Occidente. Ha dimostrato una notevole resilienza contro i rastrellamenti egiziani. Gode dell’appoggio delle tribù beduine, emarginate politicamente ed economicamente dall’Egitto e marginalizzate soprattutto nello sviluppo di un ricco turismo sulla costa meridionale della penisola. I lavoratori del settore non sono locali, ma provengono dalla vallata del Nilo o da Paesi stranieri.

Il turismo colpito dal disastro dell’aereo russo rappresenta l’obiettivo preferenziale per i gruppi terroristici. Lo è soprattutto in Paesi come l’Egitto, in cui produce dall’11 al 13% del Pil dà lavoro a un abitante su nove; fornisce all’economia all’incirca 35 miliardi di dollari all’anno, indispensabili per il bilancio statale e per soddisfare il fabbisogno alimentare. L’Egitto importa un terzo dei viveri necessari. Il turismo ha costituito in tutto il Nord Africa un obiettivo preferenziale del terrorismo: basti ricordare i recenti attentati in Tunisia o la strage di Luxor del 1997, in cui furono uccise 62 persone. Attentati terroristici impattano grandemente sui flussi turistici, date le emozioni che provocano. Oltre a provocare consistenti danni economici ai governi “nemici”, gettano su di essi il discredito, per non aver saputo garantire la sicurezza dei turisti stranieri. Gli attentati vengono poi amplificati dalla stampa mondiale, contribuendo a conseguire gli obiettivi strategici del terrorismo, che consistono sempre nel creare terrore. I miliziani del Sinai hanno subito rivendicato l’attentato contro l’aereo russo, affermando di aver voluto colpire Mosca per il suo intervento in Siria a favore di Bashar al-Assad, contro gli insorti sunniti.

(1/continua)

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