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I popolari devono allearsi con i socialisti o con i conservatori?

Silvio Berlusconi è alleato di Angela Merkel o di Marine Le Pen? E’ quanto si è chiesto Formiche.net in questo corsivo firmato da Leo Soto. Il dibattito, con interviste e interventi, si avvia con l’analisi del prof. Benedetto Ippolito

Lo scacchiere politico italiano è perennemente in movimento. Nessuno si stupisce di questo fatto, anche senza essere in possesso di documentate conoscenze storiche. Non si tratta, d’altronde, né di una semplice anomalia trasformista, né di una deriva politicista, ma di un dato presente nella mentalità degli italiani, un popolo poco comunitario e molto dominato da interessi individuali e di gruppo dinamici e articolati.

Semmai l’inesistenza di una strutturata organizzazione partitica, ad esclusione del PD, il quale tuttavia ha a capo un segretario estraneo all’organico interno, ha aggravato e reso più fluido e squilibrato questo fenomeno, ma non l’ha certamente creato o prodotto dal nulla.

Oggi la discussione interessante riguarda quel che resta del centrodestra, vale a dire di una possibile alleanza tra forze politiche come FI, che appartengono all’area popolare, e componenti diverse che si riconoscono in un orientamento che possiamo definire conservatore, Lega e Fratelli d’Italia.

Ben oltre le disquisizioni d’accademia, bisogna dire che da noi non sarebbe per nulla una novità se veramente si consumasse il matrimonio o la convivenza tra Berlusconi e Salvini, ossia tra popolari e conservatori. In tanto perché nel 1994 il leader di FI ha sbancato proponendo alleanze differenziate sia con Bossi e sia con Fini. E poi perché, in definitiva, l’ex Cav viene da una storia imprenditoriale e politica non propriamente democristiana: socialista craxiano prima e poi comunicatore nazional populista.

Il problema vero è costituito piuttosto da Renzi, il quale, viceversa, non appartiene per nulla ad una scuola politica autorevole e influente come quella ex comunista, ma è la quintessenza del popolarismo post democristiano. Molte delle riforme del governo, non da ultimo il Jobs Act, rientrano a pieno in quel tipo di orientamento sociale e democratico, liberale ma moderato, che sarebbe piaciuto a un Fanfani, anche perché toscano, o a un Moro, perché ben collocato a sinistra. Sicuramente egli non ha nulla di Togliatti e Berlinguer.

Da allora, ovviamente, tutto è cambiato. Il mondo è cambiato. Purtroppo la forza aggregativa del cattolicesimo non ha più un mordente nazionale, anche se restano costantemente presenti gli orientamenti di fondo e alcuni valori cristiani di riferimento, spalmati dappertutto.

Insomma se tutto è incerto, quanto ad identità classiche, una cosa è sicura: in Italia Renzi è un punto obbligato da cui partire per comprendere il resto. E Renzi esprime il popolarismo nostrano con la forza proporzionata alla misura del dissenso che crea nella sua compagine di partito, la cosiddetta minoranza di sinistra, che popolare non lo è proprio per niente.

Dunque non solo la pretesa di rendere coerente un’alleanza tra FI e Lega ha dei suoi intrinseci nodi da sciogliere e scogli da valicare, ma è aggravata dal fatto consistente che il PD renziano è destinato a diventare il partito della nazione, sempre che non esploda prima in mille pezzi. Tutto ciò rende legittimata l’aderenza ormai definitiva dell’area popolare, NCD e Udc, al centrosinistra, trasformando però in superfluo, di nome e di fatto, la loro esistenza politica come soggetto alternativo al PD.

Qui si apre la questione concreta se la suddetta alleanza di opposizione tra il centro berlusconiano e la destra salviniana sia possibile. La risposta, a mio avviso, è non soltanto affermativa ma addirittura accompagnata dal rilievo dell’inevitabilità.

Tralasciando la legge elettorale, che spingerà obbligatoriamente ad associarsi, c’è una considerazione generale contingente che rende necessaria questa opzione. Nello scacchiere europeo la collaborazione tra il centro e la sinistra, ossia tra popolari e socialisti, è presente a tutti i livelli. Non sono due raggruppamenti uguali, è ovvio, ma condividono insieme il governo ragionato del continente. Merkel e Hollande sono parte di un medesimo sistema, di una medesima mentalità e hanno in larga parte gli stessi obiettivi di fondo: Europa, gestione controllata dei flussi migratori, una politica estera ferma e non aggressiva, una visione aperta della democrazia, e così via.

Conviene dunque concludere che non esiste più dualità e opposizione possibile tra le due famiglie moderate?

No evidentemente. Soltanto che l’unica alternativa all’area social popolare è quella incarnata dai vari movimenti conservatori presenti un po’ ovunque. Perciò in Francia la Le Pen e in Italia Salvini rispondono pienamente a questa esigenza. Le loro proposte sono nette: no all’Europa aperta, no all’immigrazione, no all’euro e sì al ritorno dei vecchi e mai tramontati Stati chiusi e sovrani, e più di tutto no sia ai socialisti e sia ai popolari.

Di positivo c’è che, senza tanta retorica post fascista, cronologicamente ridicola, si tratta di orientamenti culturali profondi e profondamente di destra. Qui sta la novità della nuova Lega rispetto alla vecchia, e di Salvini rispetto alla Meloni.

Ora, può Forza Italia allearsi con questa destra? E soprattutto può farlo restando fedele all’identità popolare?

La risposta alla prima domanda è sicuramente positiva mentre la seconda lo è soltanto ad una condizione. Il partito di Berlusconi deve presentare un programma che sia in grado certamente di contrapporsi a quello di Renzi, ma senza essere subalterno alla Lega. L’ideale popolare può al contempo smussare la visione della sinistra e ampliare quello della destra ma non può per definizione diventare accessorio di una delle due senza perdere la specificità centrista che lo qualifica. Qui sta la difficoltà per un popolare di aderire ad un qualsiasi blocco radicale. Con la fine dell’egemonia maggioritaria della prassi cristiana, il centro non potrà facilmente avere un ruolo guida delle estreme, ma non dovrà neanche ridursi a succursale del conservatorismo o del socialismo.

Una conclusione perfettamente logica, a pensarci bene. D’altronde quello che separa un popolare progressista da uno conservatore non è lo stile e la moderazione ma i riferimenti fondamentali ai valori della democrazia. Da questo punto di vista, in ogni dove e in ogni tempo, bisogna scegliere se si ha una idea democratica di un tipo o di un altro, e se si vuole restare popolari. Perché il centro è uno stile e una sensibilità liberale, e mai un’alternativa secca a destra e sinistra.

Quindi se Berlusconi vuole allearsi con Salvini deve dirci perché non si allea con Renzi e perché in tal modo, optando per un blocco conservatore, si realizzano meglio quei valori di pluralismo, democrazia e libertà tipici della tradizione popolare. In caso contrario, infatti, potrebbe tranquillamente includere anche Grillo nel carro dei disfattisti e dei populisti anti sistema, e disinteressarsi amabilmente della questione ideologica.

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