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Not in my name, le (poche) voci musulmane anti Isis

A poco più d’una settimana dai fatti di Parigi, sabato 21 novembre numerose comunità islamiche hanno manifestato in diverse piazze italiane per condannare la strage. Il nome della manifestazione, Not in my name, deriva da una campagna lanciata dai musulmani nel gennaio scorso, dopo la mattanza nella redazione del settimanale francese Charlie Hebdo: il mio Islam non è questo.

LA MANIFESTAZIONE A ROMA

A Piazza Santi Apostoli, a Roma, erano presenti, tra gli altri, Abdellah Redouane, segretario del centro islamico della Grande Moschea della capitale, il deputato Khalid Chaouki e il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha mandato un messaggio: “I cittadini musulmani sono e devono sentirsi parte di questa comune battaglia contro il terrore”.

Ma cosa pensavano i manifestanti? Formiche.net ha raccolto alcune loro dichiarazioni, mentre riparati dagli ombrelli sventolavano bandiere tunisine, palestinesi, algerine e della pace. Ma molti anche quella italiana. Immigrati di religione islamica, musulmani con cittadinanza italiana, ma diversi anche gli italiani convertiti all’Islam.

LE VOCI (POCHE, SECONDO IL CORRIERE DELLA SERA)

“Non bisogna parlare di terrorismo musulmano, ma di terrorismo Isis. I veri musulmani siamo noi, i terroristi sono assassini. Non bisogna parlarne come musulmani, ma come assassini e basta”, afferma una donna italiana convertita all’Islam da 7 anni.

“I fatti di Parigi sono successi il 13. Il 14 la Francia ha bombardato. Perché non è andata lì il 12? Il problema già c’era”, si domanda un uomo egiziano, da più di 10 anni a Roma.

“Io non dico not in my name, ma yes this is my name. Not in my name è un modo di dire che capisco, ma bisogna prendere una posizione, i politici devono prendere una posizione. Yes my name è Imal, sono marocchino e sono fiero di essere musulmano, perché quello non è il mio Islam”.

“L’altro giorno camminavo per strada con mio figlio nel passeggino e ho ricevuto moltissimi insulti. Ormai c’è una islamofobia che ci sta condannando tutti. Quello jihadista non è il nostro Islam. Loro non hanno credo, non hanno religione”, dice una donna marocchina con il velo che le copre i capelli.

“Queste manifestazioni sono utili, ma quello che serve realmente è dire stop alla vendita delle armi, stop alla acquisto del petrolio venduto Isis, stop a rapporti commerciali con i Paesi che sostengono finanziariamente l’Isis. In quegli attentati veniamo colpiti anche noi”, sostiene un italiano convertito alla religione musulmana da 30 anni.

“Anche noi paghiamo le conseguenze di chi uccide in nome dell’Islam. Se siamo musulmani siamo pagati molto meno, veniamo trattati peggio. Siamo i primi che vogliamo sconfiggere Isis”, sostiene un ragazzo algerino, arrivato da 3 anni in Italia.

“No, non ho paura di stare qui a Roma, mi sento al sicuro. Accettare le differenze reciproche è l’unica via. Sai cosa succede in Bangadesh? Si collabora. Quando gli induisti fanno festa, i musulmani fanno servizio dell’ordine; quando i musulmani pregano gli induisti fanno servizio dell’ordine e così per le altre religioni”, dice un uomo bengladese, che vive da 7 anni a Roma.

IL VOLANTINO

A fine manifestazione alcuni manifestanti  hanno distribuito un foglio azzurro formato A4, scritto in italiano, arabo, francese e inglese. Di seguito degli estratti:

“Abbiamo provato un grande dolore per le morti di Parigi, come per quelle causate dalle bombe occidentali sulle popolazioni irachene, siriane, libiche, afgane, yemenite, palestinesi. Parigi come Kabul, Lhore e Bagdad. Pensiamo che la responsabilità di queste morti sia in primo luogo dei governi che da oltre 25 anni producono distruzione in ogni parte del pianeta. A livello internazionale, i governi occidentali si nutrono del mercato delle armi, a livello nazionale tagliano servizi, sopprimono diritti, mettono gran parte della popolazione in ginocchio scagliandola nella povertà e nell’emarginazione, nella disperazione e nella miseria. Siamo convinti che non siano gli immigrati né i musulmani a rappresentare il nostro nemico e chi pensava che la guerra fosse possibile esercitarla senza subirla, chi pensava che fosse possibile continuare a guardarla in televisione senza mai esserne coinvolti, si sbagliava. (…) La guerra è morte, povertà e devastazione e noi, uniti, la rifiutiamo”.

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