In un intervento su Il Foglio di sabato scorso il Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, esprime tutte le sue perplessità per la “timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori’’. “Per i cristiani perseguitati – aggiunge – avremmo voluto dimostrare la nostra simpatia e solidarietà scendendo in piazza a manifestare come molti hanno fatto per noi. Trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una sponda organizzativa, è stata un’impresa ardua’’. Che dire, a commento? Che il Rabbino ha ragione.
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Negli anni ’50, noi, ragazzi dell’Azione cattolica, intonavamo (“qual falange di Cristo redentore’’) un inno al Papa: “Bianco Padre che da Roma ci sei meta luce e guida/ su ciascun di noi confida/ su noi tutti puoi contar./ Siamo arditi della Fede, siamo araldi della Croce/ a un Tuo cenno, a una Tua voce/ un esercito è all’altar’’. Poi, per fortuna, i cosacchi non vennero ad abbeverare i cavalli all’interno del Colonnato del Bernini. Ma almeno non ci insegnavano a porgere l’altra guancia.
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Prendersela con i mercanti di armi è come fissare il dito anziché guardare la luna. In Israele, per assassinare dei cittadini soltanto perché sono ebrei non servono i kalashnikov; bastano i coltelli.
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Durante il dibattito sulla legge elettorale maggioritaria del 1953 (passata alla storia come “legge truffa’’) l’allora presidente del Senato Giuseppe Paratore rassegnò le dimissioni perché riprovava le tecniche ostruzionistiche dell’opposizione, ma riteneva che la fretta della maggioranza fosse responsabile di talune forzature del regolamento. Una linea di condotta, questa, che meritava di essere assunta da Pietro Grasso in relazione alle vicende dell’Italicum, ma che potrebbe, almeno, essere presa in considerazione quando tornerà al Senato la (contro)riforma Boschi.
