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Il silenzio di Eugenio Scalfari su Mario Calabresi

Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari

L’abituale appuntamento domenicale di Eugenio Scalfari con i lettori della sua Repubblica – sua perché fondata da lui, anche se ora posseduta da Carlo De Benedetti – era atteso questa volta con particolare curiosità. Era la prima occasione per lui di pronunciarsi sull’avvicendamento annunciato dal suo editore per metà gennaio alla direzione della Repubblica fra Ezio Mauro e Mario Calabresi. La prima occasione anche dopo le voci circolate, e comparse su qualche giornale, di un suo dissenso dalla scelta dell’ingegnere, come viene comunemente chiamato De Benedetti, al pari di come Gianni Agnelli veniva chiamato “l’avvocato”.

Ebbene, pur avendola presa molto alla larga, come al solito, Scalfari non ha degnato Mario Calabresi di un solo rigo, magari alla fine dell’articolo, o in uno dei suoi frequenti “PS”, cioè post-scriptum, come usa fare, dall’alto delle sue radicate convinzioni e posizioni, per le cose e gli uomini che ritiene secondari, per quanto dominanti sulle prime pagine dei giornali, compreso quello da lui fondato. Non un rigo, né di consenso né di dissenso, né di gradimento né di sgradimento. Egli ha preferito adottare un silenzio che più assordante non poteva francamente risultare, specie dopo – ripeto – le voci attribuitegli di delusione, se non di contrarietà.

L’ultima parte, e per niente minimale, di quella che ormai si può considerare l’omelia laica di Scalfari per la sua Repubblica di carta è stata dedicata, non certo per la prima volta, a Papa Francesco per ribadire che “mai come in questi tristissimi tempi un uomo di questa tempra e di questa autorevolezza il mondo ha avuto bisogno”. Ed anche per muovere un appunto agli autori del racconto-fiction in arrivo sul Pontefice, dal “commovente” titolo “Chiamatemi Francesco”, in cui si accredita, secondo lui a torto, la versione dell’allora arcivescovo Jeorge Mario Bergoglio contrario nella sua Argentina e dintorni ai preti di sinistra. Una versione, sempre secondo Scalfari, contraddetta dalla rapidità con la quale, appena eletto Papa, e superando le perplessità dei suoi predecessori, Francesco ha voluto la beatificazione del vescovo Romero, “ucciso mentre celebrava la messa nella Chiesa cattedrale di San Salvador”. Una messa e un vescovo evidentemente da considerare di sinistra.

(BACI E BACETTI PER I 60 ANNI DELL’ESPRESSO. LE FOTO DI PIZZI)

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Non so, francamente, se Scalfari sia davvero scettico di fronte alla nomina di Mario Calabresi a direttore, come si è detto a bassa voce negli ambienti del suo stesso giornale, considerandolo troppo renziano, almeno per i suoi gusti. Che non sono proprio allineati al presidente del Consiglio e segretario del Pd, al quale egli è tornato proprio nella sua omelia laica in edicola a rimproverare di non voler sentire i suoi consigli, neppure in materia di politica estera, ed europea in particolare. A proposito della quale Renzi farebbe buona compagnia a chi si oppone ad una Europa davvero federale e unita perché, in fondo, preferisce anche lui “comandare in casa propria”, anziché cedere altre e più sostanziose quote di sovranità nazionale all’Unione Europea.

Una cosa, tuttavia, sembra probabile, se non sicura, almeno alla luce del clamoroso annuncio di Adriano Sofri, dopo l’annuncio della nomina di Calabresi a direttore, alla sua ormai vecchia e consolidata collaborazione con Repubblica. Probabile, o sicura, andrebbe considerato un disagio di Scalfari per avere apposto la sua firma, assieme ad altri settecento e più “intellettuali”, alla lettera-manifesto pubblicata dall’Espresso il 10 giugno 1971, e ripubblicata nei due numeri successivi del settimanale, contro il papà di Calabresi, il famoso e contestato commissario di polizia Luigi, colpevole di avere addirittura vinto una causa contro il giornale Lotta Continua. Che da tempo lo accusava di avere provocato la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, fermato nel dicembre del 1969 per la strage di Piazza Fontana, nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura, e morto cadendo da una finestra della Questura, sempre milanese, in cui veniva interrogato.

(TUTTI I RECENTI INCONTRI DI MARIO CALABRESI. LE FOTO CON RENZI E NON SOLO…)

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A quella sciagurata lettera-manifesto seguì disgraziatamente dopo meno di un anno l’assassinio del commissario, di cui Sofri è stato considerato il mandante in via definitiva, dopo una lunghissima serie di processi e ricorsi. Giampaolo Pansa, che si era rifiutato dal primo momento di firmarla, la indicò poi come la premessa di quella barbara esecuzione del commissario sotto casa. Altri, come Norberto Bobbio, Paolo Mieli e Carlo Ripa di Meana, si dissociarono dopo gli effetti che quell’iniziativa aveva finito per contribuire a provocare.

Di dissociazioni di Scalfari non si ricorda alcuna notizia, forse a torto. E non sarebbe male, in questo caso, se egli provvedesse a rinfrescare la memoria a chi l’avesse perduta, in buona o cattiva fede.

In quella compagnia di 700 e più intellettuali, mobilitatisi attorno ad un articolo anti-Calabresi di Camilla Cederna, si ritrovarono persone che, per essere fortunatamente ancora vive, potrebbero anche loro avvertire un certo disagio, quanto meno: per esempio, Carlo Rossella, Lucio Villari, Massimo Teodori, Oliviero Toscani, Giuseppe Turani. Dei morti, forse i più, almeno fra i più celebri, come Umberto Terracini, Tiziano Terzani, Livio Zanetti, Vittorio Gorresio, è inutile parlare. Che riposino in pace.

(CHI C’ERA A FESTEGGIARE I 90 ANNI DI SCALFARI. LE FOTO DI PIZZI)

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