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Perché Obama ha cambiato idea sulla Libia

La Casa Bianca sta forse cambiando idea sull’opportunità di un intervento in Libia? Forse sì e alla base di questa nuova valutazione ci sarebbero non solo i rafforzamenti dello Stato Islamico nell’ex regno di Muammar Gheddafi, ma anche considerazioni di carattere geopolitico che coinvolgono l’attivismo di Mosca.

LE INDISCREZIONI DA PARIGI

Secondo indiscrezioni pubblicate su alcuni quotidiani, tra i quali La Stampa, “gli Stati Uniti puntano ad incrementare le operazioni in Libia contro l’Isis”. A confermarlo sarebbero state “fonti autorevoli della Casa Bianca, a margine della conferenza sul clima di Parigi” (aperta il 30 novembre), “che per Obama si è trasformata anche in un’occasione per fare avanzare la lotta al terrorismo”.

LE MANI SULLA LIBIA

La prima ragione a far riflettere Barack Obama, sottolinea la stampa Usa, è che la Libia potrebbe essere, per lo Stato islamico, il piano di emergenza nel caso il progetto del Califfato tra Siria e Iraq tramontasse. Da più di un anno, ha scritto Formiche.net, si sa che “i drappi neri, arrivati inizialmente a Derna ma poi cacciati da un milizia locale, si sono concentrati su Sirte, la città in cui morì il rais libico: qui i miliziani di Abu Bakr al Baghdadi hanno trovato spazio tra l’ideologia di Ansar al Sharia e tra gli ex lealisti gaddafisti, sviluppando qualcosa di simile a quello che è successo anni fa con i baathisti di Saddam Hussein in Iraq”. In particolare “Sirte e l’est libico sono luoghi strategici. L’espansione delle milizie baghdadiste ha finora interessato l’area peri-urbana della città, sia verso Abugrein che Nawfiliya, ma secondo diversi analisti il vero obiettivo espansionistico libico del Califfato è la città di Ajdabiya, la porta verso i campi petroliferi orientali della Libia”. Così lo Stato islamico dimostra di aver chiare le priorità, “spostando il proprio interesse sul controllo dei pozzi (che sono gestiti da vari società internazionali) per impostare anche in Libia, come in Siria e Iraq, una propria economia”.

LA RILUTTANZA INIZIALE

Se confermata, sarebbe un’evoluzione nella strategia obamiana. Anche dalle pagine di giornali “vicini” all’amministrazione democratica, ad esempio il New York Times, editorialisti come Roger Cohen hanno sferzato più volte il presidente americano per alcuni suoi atteggiamenti riluttanti. “In Siria e la Libia, ha commentato, (Obama, ndr) “si è lavato le mani di conflitti ai quali gli Stati Uniti non potevano voltare le spalle. Questa negligenza torna a mordere l’America, come ha dimostrato l’esperienza in Afghanistan a partire dal 1980. Nessuno ama il vuoto come un jihadista. E a nessuno piace l’instabilità statunitense come a Vladimir Putin“.

LE NUOVE RAGIONI DI OBAMA

Ma l’ascesa del Califfato non è il solo motivo del ripensamento americano. Secondo molti analisti, sarebbe proprio il timore di nuove azioni del Cremlino ad aver spinto il capo di Stato Usa a decidere di intensificare l’impegno nel Paese nordafricano. Per il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa, alla base della scelta del presidente Usa c’è una doppia valutazione. “L’intelligence americana sta consigliando a Obama di intervenire, perché la situazione in Libia sta degenerando. E soprattutto perché, a differenza della Siria, non può permettersi di non farlo. L’Egitto è molto preoccupato di ciò che sta accadendo ai suoi confini e, se Washington non dovesse ascoltare il suo appello, il generale Al Sisi potrebbe rivolgersi ai russi”. La Casa Bianca, conclude Arpino, vuole però evitare questo scenario e quindi sta cercando di lanciare qualche segnale di attivismo”.

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