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Matteo Salvini, Le Pen e il centrodestra spappolato

E’ inutile che Matteo Salvini s’inorgoglisca tanto del successo elettorale della zia e nipote Le Pen. Intanto, lui non è Marine, e neppure Marion. La Francia non è l’Italia. La Lega ben difficilmente potrà mai raggiungere le dimensioni del movimento lepenista, vista la concorrenza che le fa Beppe Grillo fra gli arrabbiati. E poi, quanto più dovessero crescere i leghisti tanto più si moltiplicherebbero in Italia i problemi di un’area che è l’unica alternativa sia alla sinistra sia ai grillini. Un’area però che, per quanto armata per fortuna soltanto di parole, di gruppi o gruppetti parlamentari e di qualche giornale, fa buona concorrenza sul terreno della confusione e delle rivalità personali, di gruppo, di clan, di tribù e quant’altro, al Medio Oriente o, per stare più vicini, alla Libia.

È l’area che per una ventina d’anni ci siamo abituati a chiamare centrodestra e continuiamo chissà perché a chiamare così: anche dove non esiste più, come in Parlamento, o accontentandoci delle poche regioni nelle quali è sopravvissuta per mancanza di verifiche elettorali, come in Lombardia, o è rimasta al governo solo per il forte traino leghista, come in Veneto. O è casualmente sopravvissuto al suicidio degli avversari di sinistra separatisi ai nastri di partenza, come in Liguria.

Non c’è giorno ormai, pari o dispari che sia, senza che qualcuno non esca da un partito o gruppo dell’ex centrodestra, dove magari era appena approdato, per accasarsi in un altro partito, o gruppo, o componente di quel purgatorio che è il gruppo misto alla Camera o al Senato. O addirittura per creare qualche nuova sigla, non essendo proprio il caso di chiamare movimento qualcosa che stenterebbe ad essere contenuto in una cabina telefonica, dove mai si riuscisse ancora a trovarne una. E tutti a dire e a giurare, nei loro trasferimenti, di essere mossi solo dal nobile proposito di contribuire – pensate un po’ – a ricostruire meglio il centrodestra.

(PIZZI SI E’ INTRUFOLATO IN UNA RECENTE RIUNIONE DI SALVINI A ROMA ANCHE CON MIRIAM PONZI… LE FOTO)

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Se poco più di due anni fa si è rimasti nel Pdl, e poi si è riesumata la Forza Italia dell’ormai lontano 1994, per non prendere mai più un caffè con Angelino Alfano e gli altri ex amici impoltronitisi nel governo, e si scopre ad un certo punto che la collaborazione col Pd è invece necessaria, si scarta in partenza l’idea di potersi ricongiungere con Alfano. Si mette su un’altra cosa tutta propria per fargli concorrenza nei rapporti col partito del presidente del Consiglio, o direttamente e solo con lui, visto che una parte del Pd non vuole neppure sentir parlare di nuovi e inquinanti collegamenti. È il caso naturalmente di Denis Verdini e affiliati.

Se nel partito di Alfano c’è qualcuno al quale il rapporto col Pd e con Matteo Renzi non va più bene e decide di staccare la spina per disimpegnarsi e passare all’opposizione, non pensa di tornare con Silvio Berlusconi, magari aiutandolo a contendere a Matteo Salvini la guida di un nuovo centrodestra, ma preferisce mettere su anche lui qualcosa di suo, con gli intimi. È il caso di Gaetano Quagliariello, che ha lasciato alla sola Nunzia De Girolamo il privilegio di un coerente ritorno a casa. Un ritorno peraltro che l’ex ministra e capogruppo di Alfano rischia – poveretta – di pagare caro, prima o dopo, un po’ perché fra i fedelissimi e soprattutto le fedelissime di Berlusconi è poco gradita, e un po’ perché continua ad essere la moglie del piddino Francesco Boccia.

(CHI C’ERA ALLA CENA DELLA FONDAZIONE DI QUAGLIARIELLO. LE FOTO DI PIZZI)

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Lo sfarinamento del centrodestra, o di quello che fu il centrodestra, ha sorpreso per le sue dimensioni anche Renzi, che non si è certo risparmiato per provocarlo, nel perseguimento del progetto del fantomatico Partito della Nazione. Liquidato da Massimo Cacciari, non so se più da filosofo o da politico, come “una bufala”.

Quando ha riscoperto l’utilità di un’intesa larga con tutto il centrodestra per l’elezione dei tre giudici mancanti alla Corte Costituzionale, cercando così di sottrarsi ad una trattativa troppo pesante e imprevedibile con i grillini, il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha verificato che quell’area sta peggio ancora di quanto non avesse immaginato o voluto.

Nè il Pd è riuscito nel segreto delle urne di Montecitorio a fare il pieno dei voti per il proprio candidato Augusto Barbera alla Consulta, né le varie componenti dell’ex o presunto centrodestra sono riuscite a fare il pieno dei voti per i loro due candidati generosamente accettati e sostenuti dal Pd, uno dei quali persino costretto a ritirarsi per fuoco amico.

Più che una sconfitta, per il centrodestra, o comunque lo vogliano chiamare quelli che cercano di ricostruirlo, è stata una debacle. Tanto per essere franchi, senza l’inconveniente di essere anche tiratori. E pensare che Pier Luigi Bersani ancora accusa Renzi, come assicura Il Fatto, di avere “salvato il giaguaro”.

(LE FOTO DEGLI ULTIMI CANDIDATI ALLA CONSULTA)


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