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Chi è Robert Musa Cerantonio, il predicatore Isis di origini italiane

Non sarà Turky al Binali, il predicatore più in voga a Raqqa in questo momento, autore dell’autobiografia ufficiale del Califfo Abu Bakr al Baghdadi e del suo portavoce Abu Mohammed al Adnani, ma anche l’Australia, e per traslato l’Italia (viste le sue origini), ha un proprio chierico “di punta” legato allo Stato islamico: il suo nome è Robert “Musa” Cerantonio. L’antiterrorsimo italiano lo segue da tempo, e lo indica come una vera star mediatica della web-jihad, cioè l’indottrinamento a posizioni islamiche radicali che passa attraverso social network, forum, siti internet (su cui i Carabinieri hanno da tempo aperto un filone investigativo denominato “JWeb”).

L’ARRESTO

L’11 luglio del 2014, Musa è stato svegliato dall’irruzione nella sua casa di uno Swat Team della polizia filippina: lo hanno arrestato a Lapu Lapu insieme alla moglie e poi rimpatriato, ufficialmente si trovava là per fare una visita al fratello malato (ma le autorità dicono che non avesse nessuna intenzione di tornare a Melbourne, dove era sotto osservazione). In quei giorni il governo australiano stava portando avanti la più imponente operazione counter terrorism della propria storia: 800 uomini impegnati per sgominare un’organizzazione di 15 persone che aveva come obiettivo catturare un cittadino australiano “a caso” e poi decapitarlo in una piazza pubblica di Sidney; un gesto d’effetto, dall’alto valore propagandistico. Tra gli arrestati c’era anche Mohammed al Baryalei, descritto dalla polizia come il leader dell’organizzazione in Australia, mentre le autorità pensano che a far da guida spirituale dietro alla diffusione delle istanze dello Stato islamico in Australia fosse proprio Cerantonio. Sono andati a prenderlo fino a Manila per riportarlo a Melbourne, anche se Musa, sempre molto attivo sui social network, aveva scritto su Twitter di trovarsi in Siria per combattere il jihad un mese prima del blitz che lo ha catturato. Le autorità australiane ritengono sia stata una mossa per alleggerire le pressioni che si sentiva addosso, ma non ha funzionato, oltre che a un messaggio propagandistico: a cascare nel tranello solo alcuni media italiani, che lo descrivevano come “il jihadista calabrese che combatte in Iraq”.

LO STUDIO CHE LO HA INCASTRATO

Musa era al sicuro nelle Filippine, a far ciò che gli viene meglio: predicare via internet. Per questo è da un po’ inserito nella lista dei predicatori attivi anche in Europa condivisa da Interpol e Viminale. In uno studio che l’International centre for the study of radicalization (centro studio in partnership tra il King’s College di Londra, un’università israeliana, una giordana e la Georgetown americana) lo scorso aprile ha dedicato a chi muove i foreign fighter siriani, Cerantonio appare tra le due più prominenti figure d’ispirazione, insieme ad un altro predicatore americano. Solo che, spiega Icsr, Cerantonio è più diretto, usa tecniche meno sottili e sfumate, è una sorta di “cheerleader dell’Isis”. Lo studio rivela che molti dei foreign fighter seguono con più attenzione le parole di certi elementi come Musa, piuttosto che le dottrine ufficiali: è una questione di attenzione e di empatia, il rigore dottrinale è superato dalle visioni smart e più leggere. In questo Cerantonio avrebbe costruito la sua fama. Oltre il 60 per cento dei foreign fighters analizzati dall’istituto inglese, avrebbe condiviso o messo “mi piace” ai post su Facebook di Musa, mentre il 75 per cento lo seguiva su Twitter.

LE ORIGINI, LA CONVERSIONE

Musa Cerantonio ha 30 anni ed è di origini calabresi, il padre è cosentino, mentre la madre irlandese (ai geni materni si potrebbe legare la rossiccia barba salafita che copre il suo volto e gli occhi verdi). Radici cattoliche acquisite dalla famiglia a dalla scuola; in alcuni dei suoi discorsi ha raccontato la propria adolescenza come quella di un qualunque ragazzo australiano, sessualmente attivo, qualche spinello con gli amici. Scontento degli insegnamenti scolastici, che definisce in un suo scritto “socialisti e comunisti”, ha iniziato a leggere la Bibbia e a seguirne gli insegnamenti, fino a quando non ha capito che il cristianesimo nascondeva – dice – “adorazioni ed idolatria” ed ha iniziato a cercare altre religioni. L’illuminazione e la conversione all’Islam sono arrivati a 17 anni, grazie a un libro regalatogli da un amico ed alla predicazione del chierico musulmano britannico Abdur Raheem Green.

LINK ITALIANI

Il collegamento con l’Italia non viene solo dalle origini del padre: ha predicato a Brescia e Bergamo, è stato ospitato in centri islamici delle due città lombarde. Presenza ingombrante per i direttori dei centri, che hanno dovuto cercare di mettere freno alle polemiche aperte qualche mese fa, quando sono emerse le ospitate, adducendo motivi organizzativi e annunciando indagini interne sui promotori degli incontri. Il suo ruolo come “maestro” religioso è parecchio in discussione tra i chierici islamici: Musa non ha mai acquisito studi ufficiali in merito, ma è un autodidatta. Rappresenta un pericolo: un ragazzo che non ha frequentato le madrasse saudite o yemenite, o le università egiziane, che provvede autonomamente alla propria formazione e poi grazie alla forza diffusiva dei mezzi di comunicazione moderna diventa un riferimento dottrinale, con tutto il rischio della deriva “radicalizzazione”.

UN STAR DEI MEDIA

Cerantonio è una star mediatica: quando viveva al Cairo, nel 2011, conduceva show televisivi in lingua inglese dal titolo “Ask the Sheikh” e “Our Legacy” in cui rispondeva a domande di telespettatori sull’Islam. A venticinque anni era già diventato un non-ufficiale predicatore islamico: i suoi video su Youtube raccoglievano migliaia di visualizzazioni. I giornalisti di Al Jazeera lo avevano chiamato come opinionista fisso dalla sede del Cairo. Il successo è forse legato anche la fatto di essere un convertito bianco, l’appeal di chi ha scelto l’Islam venendo da una cultura diversa. Da lì è passato a consigliare su Facebook i sermoni di Abadallah Azzam, il mentore di Osama Bin Laden, il percorso ha seguito un continuo inasprimento delle visioni di Musa verso la radicalizzazione. A gennaio del 2015, l’autore satirico radiofonico John Safran lo ha intervistato sul Sidney Mourning Herald: Musa s’è definito “un semplice ex addetto ai software di protezione internet che adesso insegna l’Islam” e incolpa il report dell’Icsr di aver dato il la a tutti i suoi problemi.

A dispetto di ciò, però, le sue tracce digitali sono aperte e piene di messaggi sulla necessità di istituire un califfato islamico per permettere all’Islam di dominare, o sulla giustezza di compiere attentati e sull’utilità di diffondere la religione con la spada, invettive contro gli Stati Uniti, predicazioni radicali sulle donne e sulle abitudini di vita. In un post su Facebook, ha pubblicato anche il gesto più eclatante e fisico da lui compiuto (Musa non è un combattente, al di là della dimensione che ha provato a darsi annunciando la partenza per la jihad in Siria): una foto in piazza San Pietro a Roma, scattata un paio d’anni fa, in cui mostrava in mezzo ai turisti una bandiera nera con su scritto un tawhid sunnita radicale. Nel commento spiegava che quello era un modo per affermare come il monoteismo islamico (il tawhid) “non avrebbe accettato compromessi con le croci”: “Noi non crediamo nella tolleranza religiosa”, l’Islam “dominerà” Roma.

A PIEDE LIBERO

Le autorità filippine lo hanno tenuto sotto osservazione per cinque mesi prima dell’arresto sull’isola di Cebu. Ufficialmente è stato preso dal Bureau of Immigration e poi riportato a Melbourne perché il suo visto era scaduto dato che il passaporto era stato annullato dal governo australiano (dietro all’arresto, però, sembra esserci stato anche il timore che Cerantonio potesse sostenere la causa del Moro National Liberation Front, Mnlf, gruppo islamista che combatte il governo filippino da decenni). Cinque anni fa subì già un avviso ufficioso. Due funzionari dell’Aiso (Australian Security Intelligence Organisation) bussarono alla sua porta perché da lì a pochi giorni Musa sarebbe partito per il Medio Oriente in un viaggio che aveva un obiettivo: raccogliere i fondi per creare un centro islamico a Melbourne, viaggio inevitabilmente finito nel setaccio dell’intelligence australiana. Le sue uscite sull’Islam a tutti gli effetti non costituiscono reato effettivo per la giurisprudenza australiana: a dicembre dello scorso anno è stato silenziato da Facebook, dopo che in un post aveva incitato ad assassinare leader americani. Ma tuttora è a piede libero, sebbene non possa lasciare l’Australia. In un’analisi uscita sull’Atlantic a marzo, Graeme Wood spiegava che è deludente, ma istruttivo, che uno dei predicatori più rappresentativi del sedicente califfato sia un australiano di origini cattolicissime (italiane e irlandesi), che “ha in faccia i tipo di peli spettinati che si vede in alcuni fan troppo cresciuto del Signore degli Anelli che sente famigliare l’ossessione per l’Apocalisse”. Wood, dopo aver incontrato Cerantonio, aggiungeva che “lui sembrava di vivere un eterno dramma simile a quello di un fantasy medioevale” in cui l’unica differenza è che si sta consumando sangue reale.

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