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Assemblea Telecom Italia, chi ha vinto e chi ha perso

Vivendi è la vincitrice indiscussa dell’assemblea degli azionisti di Telecom Italia del 15 dicembre. L’assise, infatti, ha preso tutte le grandi decisioni che desideravano i francesi primi soci singoli di Telecom al 20,5%: da una parte, è stata bocciata la conversione delle azioni di risparmio in ordinarie e, dall’altra, è stato approvato l’ingresso in consiglio di amministrazione dei quattro rappresentanti di Vivendi, ossia Arnaud Roy de Puyfontaine, Stephane Roussel, Hervé Philippe e Felicité Herzog, con l’annesso allargamento dell’organo da 13 a 17 membri.

I DETTAGLI DELLA VITTORIA FRANCESE

Sette ore di assemblea al termine delle quali la conversione dei titoli di risparmio ha ottenuto il sì del 62,5% del capitale presente, o del 34,7% delle azioni ordinarie. Una percentuale non sufficiente a fare passare l’operazione, che necessitava di essere approvata con una maggioranza qualificata di due terzi. Come spiega Il Sole 24 Ore del 16 dicembre, “tutti gli istituzionali, rappresentati per delega dall’avvocato Dario Trevisan con oltre il 34,6%, hanno votato a favore della conversione. Vivendi si è astenuta con il 20,1% rispetto al 20,5% di cui è in possesso (distribuito tra tre società) e un altro 0,8% del capitale ha votato contro, ricomprendendo forse lo 0,79% con il quale si è presentata all’adunanza la Cdp francese, azionista stabile della media company transalpina”. Vivendi aveva deciso di schierarsi contro la conversione delle azioni in ordinarie appena venerdì 11 dicembre, quando cioè sembrava che difficilmente i francesi sarebbero riusciti a piazzare i quattro consiglieri in Telecom. In quei giorni, infatti, anche dopo le polemiche di Assogestioni, i proxy advisor consigliavano di votare contro l’ingresso degli amministratori scelti da Vivendi.

NUOVI INGRESSI IN CDA

E invece sulla nomina dei suoi quattro rappresentanti in cda, il gruppo di Vincent Bollorè ha ottenuto la maggioranza semplice di cui aveva bisogno: ha detto “sì” il 52,9% dei presenti, cioè il 29,4% del capitale. Questa percentuale, scrive Il Sole 24 Ore, “tolta la propria quota e quella della Caisse de depots et consignations, rivela che la campagna di “sensibilizzazione” dell’azionariato è riuscita a convincere più dell’8% del capitale. Secondo indicazioni di mercato si tratterebbe in buona misura di hedge fund franco-canadesi, di cui almeno in parte con titoli avuti in prestito”. L’unica sconfitta per la squadra transalpina di Bollorè è stato il “no” alla richiesta di svincolo dal divieto di concorrenza dei nuovi consiglieri. Basti per esempio ricordare che de Puyfontaine è amministratore delegato della stessa Vivendi. “L’area di sovrapposizione – scrive Antonella Olivieri sul Sole – riguarderebbe Daily Motion di Vivendi e Tim Vision di Telecom e non dovrebbe costituire un impedimento all’accettazione della nomina da parte dei quattro consiglieri”.

COMINCIA L’ERA VIVENDI IN TELECOM

Sta di fatto che con l’assemblea di ieri comincia ufficialmente l’era di Vivendi in Telecom. Scrive in proposito Federico De Rosa sul Corriere della Sera: “È una svolta importante per Telecom, che perde la patina da public company assunta dopo l’uscita di Telco ed entra nel raggio di influenza di Vivendi, a tutti gli effetti nuovo azionista di riferimento. I fondi continuano ad avere la maggioranza del capitale, ma con il 20,5% ora comandano i francesi. I quali in assemblea hanno trovato un altro 9% disposto ad appoggiare la manovra”. Giovanni Pons, su Repubblica, instilla qualche dubbio: “Nessuno sa se Vivendi ha un piano strategico ben chiaro in mente, in grado di aggiungere valore alla società italiana. Dire che il proprio investimento è di lungo periodo, come ripetono a pappagallo gli uomini di Bollorè, in realtà non significa nulla. Occorre dare sostanza a queste affermazioni programmatiche con un piano industriale ben preciso e l’indicazione di manager che possano portarlo avanti. Se non lo farà Vivendi in un prossimo futuro potrebbe farlo qualcun’altro, come Xavier Niel (socio di Telecom con un 15% potenziale, ndr) o Orange, gli altri due contendenti francesi che hanno recentemente mostrato interesse per Telecom Italia”. Secondo Repubblica, è “possibile che all’assemblea di aprile chiamata ad approvare il bilancio, o in una successiva occasione, Niel possa presentare un suo piano strategico per Telecom e metterlo alla prova degli azionisti. Se sarà convincente e saprà attirare su di sé i voti dei fondi l’ingresso di Vivendi nel cda Telecom avrà vita breve. Così come il colosso Orange, ancora in mano allo stato francese, potrebbe scoprire sinergie interessanti tra l’unione dei due gruppi e proporre un’integrazione”.

CHI ESCE PERDENTE

Se Vivendi è la vincitrice indiscussa dell’assemblea, chi ha perso? Innanzi tutto, i fondi che, assemblando il 35% circa del capitale di Telecom, non sono riusciti, come avrebbero voluto, a bloccare l’ingresso dei rappresentanti dei soci di oltralpe. Soprattutto, però, a perdere sono il presidente della società telefonica, Giuseppe Recchi, e l’amministratore delegato, Marco Patuano. “Certamente il board di Telecom ne esce scosso”, si legge sul Corriere. Il problema è che l’operazione di conversione dei titoli risparmio era stata portata in cda proprio da Recchi, peraltro con un blitz, poiché – secondo quanto raccontato da Pons su Repubblica – lo stesso Patuano non ne era stato informato. In cda, perciò, inizialmente l’ad di Telecom non aveva approvato l’operazione, ma poi aveva deciso di votare a favore. Da qui il via libera all’unanimità da parte del consiglio. E questo sia per evitare che esplodessero le tensioni tra presidente e ad di Telecom, che sotto traccia covavano ormai da tempo, sia perché lo stesso Patuano stava già lavorando alla conversione, operazione che del resto l’ad ha difeso ancora in occasione dell’assemblea dei 15 dicembre. “Questo consiglio resterà in carica fino alla fine del mandato perché non ci sono previsioni diverse”, ha assicurato Recchi. Ma la sua poltrona e quella di Patuano, con Vivendi al comando, traballano.


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