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Banca Marche e Banca Etruria, ecco la tarantella della Consob sui bond

C’è un’unica grande verità in questo grande caos bancario. Qualcosa, negli ultimi due anni, non ha funzionato nel sistema del credito italiano. E forse non si è ancora capito bene cosa. Intanto però banche-autorità-governo e risparmiatori hanno fatto corto circuito, con questi ultimi finiti a gambe all’aria in seguito al “salvataggio” dell’Etruria, Carichieti, Carife e Banca Marche, le cui nuove regole europee (la Brrd) prevede l’azzeramento delle azioni in caso di crack.

Ma chi doveva vigilare su come gli intermediari finanziari, dunque le banche, collocavano strumenti come le obbligazioni subordinate? La Consob, la Commissione sulla Borsa e le società quotate presieduta da Giuseppe Vegas.

REGOLE SI’, REGOLE NO

Il dramma dei risparmiatori italiani ha radici lontane, che affondano tra le pieghe di documenti e circolari vecchi di 5-6 anni. Ma che improvvisamente sono tornate d’attualità, loro malgrado. Torniamo al 2 marzo 2009, quando una circolare della Consob, stabiliva per gli intermediari (le banche), precise regole di condotta nella vendita di prodotti finanziari illiquidi, ovvero strumenti non negoziabili sul mercato e per i quali sussistono difficoltà di smobilizzo, ufficialmente a basso rischio ma la cui rischiosità viene spesso celata. E tra le quali rientrano le obbligazioni bancarie. Ebbene, tra le indicazioni contenute nel documento c’è quella secondo cui “per illustrare il profilo di rischio di strutture complesse (tra le quali, come chiarisce l’Esma, rientrano le obbligazioni subordinate, ndr) è utile che l’intermediario produca al cliente anche le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive”. In buona sostanza, affermava la Consob allora guidata da Lamberto Cardia, in caso di vendita di obbligazioni subordinate, la banca avrebbe dovuto fornire al cliente una simulazione sui rendimenti futuri del titolo, per prospettargli rischi e vantaggi del prodotto con precise percentuali di rischiosità.

COSA (AVREBBERO) DETTO LE SIMULAZIONI

Applicare il metodo degli scenari di rendimento alle obbligazioni, per esempio, di Carichieti 2013-2018 avrebbe permesso al cliente di turno di sapere che c’era un rischio di perdere quasi il 50% del capitale con una probabilità del 37%. Leggendo invece l’ipotetico prospetto dell’emissione subordinata di Banca Etruria 2013-2023, l’investitore avrebbe saputo in quel momento che aveva il 62,73% di probabilità di ottenere in media la restituzione di 47,85 euro per ogni 100 euro investiti (-7,11% all’anno), il 36% di portare a casa 157,66 euro (con un rendimento del 4,66% l’anno), e solo l’1,24% di avere un rendimento del 5,49% l’anno (valore medio 170,72). Percentuali che avrebbero convinto il risparmiatore a pensarci due volte prima di sottoscrivere le obbligazioni.

IL DIETROFRONT CINQUE MESI DOPO

Il condizionale è però d’obbligo. Perchè pochi mesi ecco infatti il colpo di scena. In una comunicazione datata 5 agosto 2009 la Consob avallava le conclusioni di un documento dell’Abi che recepiva le direttive della Consob in materia di vendita di prodotti finanziari. Almeno in parte. Sì, perché a guardare il documento, salta fuori una noticina di poche righe in cui tra i prodotti finanziari a “struttura non complessa”, figurano proprio le obbligazioni subordinate. In altre parole, nel giro di cinque mesi, la Consob ritira il suo stesso invito a effettuare la simulazioni sui rendimenti per tutti quei clienti che acquistano obbligazioni subordinate. Di conseguenza, niente più informazioni approfondite su prodotti ad alta rischiosità, ovvero clienti meno consapevoli dei rischi e banche più facilitate nel piazzare il prodotto subordinato. Una posizione ribadita dalla Consob in un altro documento datato maggio 2011, in cui la commissione di Borsa ha nuovamente sottolineato come per la vendita di prodotti finanziari “non sono richieste informazioni sugli scenari probabilistici di rendimento, il cui inserimento è raccomandato soltanto in presenza di prodotti a particolare complessità”. Prodotti tra i quali, come detto, non figurano le obbligazioni subordinate.

LA CORSA ALLA VENDITA DI BOND SUBORDINATI

L’orientamento della Consob favoriva in questo modo la vendita massiva di prodotti finanziari ad alto rischio, complice la scarsa informazione fornita al cliente. E le banche, a partire dal 2011, quando alla guida della Consob c’era già Giuseppe Vegas, per ricapitalizzarsi visto l’avanzare della crisi e la necessità di rafforzare i patrimoni, avevano iniziato a piazzare sul larga scala le obbligazioni subordinate, come ricorda il giornalista Lorenzo Dilena in un recente articolo dedicato al caso. In questo modo, tanti, troppi, risparmiatori diventavano titolari di obbligazioni subordinate, forse non valutate con la necessaria attenzione dalle stesse autorità chiamate a vigilare.

I PALETTI DELL’EBA E I TIMORI DELL’ABI

Nel lungo racconto che conduce al disastro di questi giorni, trovano spazio anche alcune preoccupazioni dell’Abi in seguito ad alcune indicazioni dell’Autorità bancaria europea per la quale, molte delle obbligazioni subordinate già emesse non possono essere più conteggiate nel patrimonio a meno di sostituirle con altre che prevedono opzioni di rimborso anticipato non inferiori a 5 anni. Il risultato è che emettere subordinati sarà più complesso e molto più caro. Per questo l’Abi nel rapporto Afo 2013-2015 segnala “limitazioni della platea dei possibili sottoscrittori, perché se venisse confermata la maggiore rischiosità delle obbligazioni soggette a bail-in, queste potrebbero non risultare più adeguate per alcuni clienti retail, che in Italia rappresentano i maggiori sottoscrittori di titoli”. Ma nonostante i paletti dell’Eba, la vendita di prodotti ad alto rischio, come dimostra il risultato finale, è proseguita, sull’onda di un’informazione zoppicante alla clientela.

ESMA-CONSOB, DUE VISIONI PER UNO (STESSO) PROBLEMA

C’è però un passaggio che più di tutti descrive la confusione che ha accompagnato questi anni di vendite spericolate. Ed è in un documento in cui la Consob fornisce alcuni chiarimenti sulla vendita di prodotti finanziari al mercato retail. Alla domanda se le obbligazioni subordinate sono da considerarsi prodotti complessi, e quindi coperte dalla pratica dello scenario di rendimento, Consob risponde che “la presenza della mera clausola di subordinazione non implica ex se la riconduzione delle obbligazioni in esame nell’alveo dei prodotti a complessità molto elevata di cui all’elenco”. Cioè, non sono automaticamente da considerarsi complesse. Peccato però che per l’Autorità europea degli strumenti e dei mercati finanziari (Esma) “le obbligazioni subordinate sono considerate strumenti complessi”, si legge poche righe dopo. Per parte sua la Consob, si limita a raccomandare solo “la massima attenzione alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio», senza porre precisi obblighi”.


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