Un altro passo in avanti per tirar fuori la Libia dal caos della guerra civile è stato compiuto, ma il percorso resta in salita. Ieri a Skhirat, in Marocco, le due fazioni in lotta nel Paese, Tripoli e Tobruk, hanno sottoscritto un accordo per dar vita a un governo di concordia nazionale con la mediazione delle Nazioni Unite. La svolta è arrivata a quattro anni dalla deposizione di Muammar Gheddafi, a un anno e mezzo dall’inizio del conflitto interno e a pochi giorni dalla conferenza organizzata domenica scorsa a Roma dalla diplomazia italiana col sostegno di Washington. Tutto risolto, dunque? Non proprio, secondo alcuni osservatori.
I DETTAGLI DELL’INTESA
L’accordo di ieri, ha spiegato Vincenzo Nigro su Repubblica, “è stato siglato da 90 deputati di Tobruk e dal 27 deputati di Tripoli, che però avevano con loro la delega di altri 42 deputati del General National Congress che ancora siede nella capitale. L’intesa ha creato un comitato di Presidenza di cui fanno parte 6 personalità che erano già state indicate dall’Onu (il premier Fayez Sarraj, i tre vicepremier Ahmed Maetig, Fathi Majbri e Musa Koni, e i due ministri Omar Aswad e Mohamed Ammar). Nel frattempo si sono aggiunti altri 3 uomini politici, due in rappresentanza del Fezzan, il sud della Libia, e uno della Cirenaica, la parte orientale. Adesso questo comitato di presidenza dovrà formare la lista dei ministri che costituiranno il governo vero e proprio, ed entro 40 giorni il governo dovrà insediarsi a Tripoli”.
LE DIFFERENZE TRA TRIPOLI
“Da Tobruk – scrive oggi Giordano Stabile sulla Stampa – il bicchiere appare per nove decimi pieno, da Tripoli per tre quarti vuoto. Ed è questo l’ostacolo maggiore alla formazione del governo di unità nazionale che dovrebbe vedere la luce entro un mese. E, proprio perché le fazioni contrarie più forti gravitano attorno alla capitale, il secondo grosso problema sarà trovare una sede al nuovo esecutivo. Difficile pensare che Tripoli sia messa in sicurezza in tempi così brevi”. Alcuni numeri spiegano molto. Per firmare l’intesa, in Marocco si sono recati 80 deputati di Tobruk su 156; solo 50 su 136 di Tripoli.
LE MILIZIE DI TRIPOLI
“Appoggiato dai Fratelli musulmani”, prosegue Stabile, “il presidente del Gnc tripolino, Nouri Abusahmain, “deve fare i conti con il niet di Abdelhakim Belhadj, leader del partito Hizb al Watan, ma soprattutto ex combattente di Al Qaeda in Afghanistan e Iraq”. La componente islamista Alba Libica, che controlla militarmente Tripoli, si legge sul quotidiano torinese, “è il problema principale. Oltre agli uomini di Belhadj, c’è la potente Abu Salim Martyrs Brigade, e poi quasi la metà delle brigate di Misurata… Quindi se anche più di metà dei deputati di Tripoli fossero per l’intesa” (molti pare abbiano partecipato con delega), commenta Stabile, “non avrebbero la forza per imporla”. Quasi tutte le milizie, quelle che poi contano davvero sul terreno, rimarca il Christian Science Monitor, non hanno per ovvi motivi preso parte ai negoziati. Eppure con loro sarà indispensabile dialogare.
IL PESO DELLE POTENZE REGIONALI
Questo scenario, già di per sé complesso, va collocato poi in un quadro più ampio, in cui c’è lo Stato islamico a guadagnare posizioni ma, soprattutto, ci sono ingerenze esterne delle potenze regionali. Quest’ultime sono una delle cause più forti della crisi che attanaglia la nazione nordafricana, che ha dato vita nel tempo a una guerra per procura combattuta nell’ex regno di Muammar Gheddafi. In Libia, le due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar e dall’altro da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi sostengono il vecchio parlamento, il Gnc; i secondi Tobruk. E per Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundation, non è ancora chiaro come reagiranno a questo accordo, al di là dei proclami. “Le milizie che si oppongono all’intesa lo fanno anche perché temono di perdere interessi consolidati in questo periodo di caos. Ma rispetto a qualche tempo fa c’è stata un’ulteriore evoluzione”. Non regge più, secondo l’analista, la lettura di Tripoli contro Tobruk. “È vero che la parte di Tripoli è quella che ci perde di più ed è quella più difficile da convincere, anche perché l’impianto del nuovo governo proposto dal nuovo inviato Martin Kobler resta lo stesso a cui ha lavorato Bernardino León, screditato dalle mail che ne hanno evidenziato totale parzialità. Ma anche dall’altro lato sembrano esserci delle crepe. Basti pensare che gli Emirati Arabi non erano presenti alla firma in Marocco. Un’assenza che pesa e che, forse, insieme ad altri elementi, lascia immaginare che in entrambi i macro-schieramenti si stiano creando spaccature”. Probabilmente, conclude la Bianco, “il governo si firmerà, quanto meno per lanciare un segnale e consentire di procedere con una missione internazionale che provi a mettere in sicurezza il Paese. Ma le resistenze, anche con la formazione del nuovo esecutivo, non mancheranno”.