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Perché Renzi non può stare troppo sereno

L’ho sentita orecchiando involontariamente in un corridoio della Camera dove si cammina a passo svelto per intossicarsi il meno possibile, essendo l’unico nel quale è consentito ai parlamentari e agli ospiti di stazionare fumando sigarette, sigari, pipe e quant’altro. Senza doversi trasferire, nelle ore meno calde o più fredde della giornata, nel cortile che il pubblico televisivo ha cominiciato a conoscere nelle occasioni dei grandi eventi parlamentari, come l’elezione del presidente della Repubblica. Quando vi si allestiscono, fra piante e sedie, i gazebo delle postazioni televisive. E non per offrire e ricevere rinfreschi ma solo per raccogliere interviste, improvvisare confronti, affidare previsioni a più o meno esperti, che poi sono spesso soltanto sostenitori dei vari candidati travestiti da giornalisti o parlamentari indifferenti.

In quel corridoio ho sentito levarsi da un gruppetto di deputati del Pd, che non potevano certamente essere scambiati per tifosi del presidente del Consiglio e segretario del loro partito, una domanda peraltro disturbata dal sonoro troppo alto di un televisore acceso. “Ma perché non gli fanno ogni mattina l’antidoping? In fondo è un atleta anche lui”.

L’immagine deve essere stata ispirata a quei signori dalla lettura di un articolo del Corriere della Sera, che era infatti aperto su un tavolino, in cui una cronista accorsa il giorno prima al raduno renziano di Firenze, alla Leopolda, raccontava delle tensioni fisiche da atleta che aveva scorso in Matteo Renzi prima che salisse sul podio per l’intervento conclusivo della manifestazione. Quello dell’invito a “riprenderci il futuro”, sia pure “senza tempo”, come gli avrebbe poi rimproverato su Repubblica Stefano Folli con il piglio e l’umore di Eugenio Scalfari, forse “infastidito” ancora dalle procedure e dalle scelte dell’editore Carlo De Benedetti per l’ormai vicinissimo cambio di direttore, da Ezio Mauro e Mario Calabresi.

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In effetti, a parte la paradossale evocazione dell’antidoping, peraltro copiata dal solito e impareggiabile Maurizio Crozza alle prese con un sarcastico Papa allusivo proprio con Renzi, il presidente del Consiglio non si è mai trovato esposto così tanto, cioè su così tanti fronti di lotta, come in questi giorni. All’interno e all’esterno del partito, all’interno e all’esterno della maggioranza di governo, all’interno e all’esterno dell’Italia, all’interno e all’esterno dell’Unione Europea, al cui ultimo vertice, in ordine di tempo, è approdato per dirgliene o mandargliene a dire quattro alla cancelliera Angela Merkel, arrivata invece all’appuntamento con il conforto di quei dieci minuti di applausi rimediati al termine del discorso al congresso del proprio partito.

Non c’è giorno ormai che Renzi non aggiunga qualcuno alla lista dei suoi obiettivi polemici, a volte provocato, a dire il vero, ma a volte di suo e basta. E tra le provocazioni, oltre a quella più recente dell’ormai solito Renato Brunetta, un altro al quale i colleghi di gruppo di Forza Italia vorrebbero praticare l’antidoping, permettettemi di aggiungerne una che so non condivisa da fior di colleghi, anche qui, a Formiche.net.

Mi riferisco, in particolare, a quei giornali che non si limitano ad esercitare contro Renzi e il suo governo il sacrosanto, salutare, doveroso esercizio di critica, diretto e indiretto: diretto con ragionamenti, argomenti e scoop propri, indiretto con il solito ricorso a verbali e verbaluzzi d’intercettazioni giudiziarie, che compaiono e scompaiono come congegni ad orologeria. Essi aggiungono alle critiche, con pretestuosi richiami al diritto alla satira, insulti e storpiamenti di nomi, in modo che gli avversari di turno possano rivelarsi più ridicoli o odiosi di quanto magari non siano già per conto loro.

Coprire e difendere questo tipo di polemiche e di attacchi liquidando le reazioni del presidente del Consiglio, anche nella forma di un concorso goliardico per l’individuazione del titolo peggiore, come un attentato alla libertà di stampa eccetera eccetera mi sembra francamente eccessivo. Qui l’antidoping dovremmo praticarcelo noi, da soli. Peraltro con un’aggravante che avrebbero il diritto di contestarci gli editori: la mancata traduzione di tanta aggressività, e becerume, in aumento di copie nelle edicole. Dove i giornali continuano nella loro rovinosa, e a questo punto anche meritatissima discesa.

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Prima o dopo, vedrete, Renzi avrà la sorpresa che toccò all’inizio degli anni Settanta al suo famoso corregionale Amintore Fanfani. Che vide esposti anche vicino alla sua abitazione romana, o lungo i percorsi che faceva in auto con la solita protezione della scorta, manifesti e striscioni inneggianti ad un film che si proiettava in quel periodo senza grandi effetti di cassa, nonostante la pubblicità suppletiva di quelle affissioni di sapore politico. Era il film del regista Armando Crispino dal titolo “L’Etrusco uccide ancora”. Ricavato da misteriosi delitti ambientati a Spoleto, dove ragazzi e ragazze venivano uccisi fra scavi archeologici al suono di una musica diffusa da un registratore.


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