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Bad bank? Meglio una Opportunity bank

Gli ultimi bollettini dell’ABI ci avvertono che la massa delle sofferenze presenti nella pancia delle nostre banche ha sfondando anche il muro dei 200 mld ( + 13% rispetto al 2014). Ora, è vero, come ci ricorda il Presidente dell’ABI Patuelli, che il flusso di operazioni che entrano nella spirale del credito deteriorato sta rallentando, tuttavia molti osservatori ritengono che ci vorranno almeno due anni prima di registrare una vera riduzione di questo insano fardello. Cerved, addirittura, prevede che la massa del deteriorato (attualmente intorno ai 350 mld) possa crescere fino al 2020.

Il che vuol dire che solo fra qualche anno le banche, riducendo gli accantonamenti a fronte delle perdite attese, potranno realmente incrementare gli sforzi a sostegno delle imprese. Purtroppo, il punto è che, semplicemente, non abbiamo due anni per aspettare che questo fardello si assorba da solo grazie ad un miglioramento della situazione economica generale. E non li abbiamo anche a causa della differente velocità con cui le nuove normative di vigilanza impattano, da una parte, sul sistema bancario a livello macro e, dall’altra, sulle singole banche e sulle singole imprese. Qui il problema sorge dal fatto che tutte le recenti regole sono state concepite per rendere il sistema bancario nel suo complesso strutturalmente più solido e stabile. Ed in effetti, un sistema bancario più solido rende più forti anche le aziende perché riesce ad erogare il credito in maniera continuativa ed equilibrata in quanto svincolato dall’emergenza, dalle pressioni esterne e dalla sindrome del controllore.

Ciò premesso, il problema sta proprio nel citato differenziale di velocità. Infatti, le nuove normative di vigilanza, anche a causa della complessità delle variabili in gioco, possono migliorare il livello di sicurezza del sistema bancario globale solo lentamente, nel lungo periodo. Al contrario, le più severe politiche di accantonamento, le nuove norme sul credito tollerato e le novità sugli sconfinamenti delle imprese (past due), impattano subito sugli accantonamenti dei singoli istituti, limitando così, nell’immediato, la loro capacità di supportare il mondo imprese. Tra l’altro, la nuova regolamentazione di vigilanza ha una diversa velocità di impatto anche all’interno della stessa UE. Infatti, nei sistemi bancari anglosassoni, più dediti alla finanza che al sostegno alle imprese, la velocità di impatto delle nuove normative in esame è decisamente inferiore rispetto ai sistemi bancari latini. Come appare moderata anche la velocità di propagazione del fenomeno dalle banche alle imprese.

Infatti, le aziende del Centro Europa, abituate da sempre a non poter fare un grande affidamento sul sostegno degli istituti, si sono rafforzate patrimonialmente e hanno creato negli anni fonti alternative al credito quali, ad esempio, un efficiente mercato delle obbligazioni corporate. Al contrario, in Italia dove le banche dedicano gran parte degli impieghi al finanziamento delle aziende medio piccole e, quindi, sono molto più esposte alla problematica del credito deteriorato, la velocità di impatto delle nuove regole di vigilanza è massima. Come massima, per altro, è la velocità di propagazione del fenomeno alle nostre PMI. Infatti le nostre aziende, proprio perché storicamente appoggiate dal sistema bancario, si sono trovate a fronteggiare l’inaridimento dei flussi creditizi dovuto alle nuove regole in esame senza poter contare su fonti alternative al credito ordinario.

E allora, nel contesto italiano, se si vuole davvero trascinare le nostre PMI fuori dalla crisi, non possiamo assolutamente abbandonare la ricerca di una soluzione strutturale al problema del credito deteriorato. E questo nonostante l’intenso fuoco di sbarramento di Bruxelles. Che poi si tratti di una Bad Bank, di una Opportunity Bank (visto che non si tratta di salvare le nostre banche, ma di dare una nuova opportunità alle nostre imprese) o di una Asset Management Company non è così importante. Come non è di fondamentale rilevanza se interverrà una garanzia della Cassa Depositi e Prestiti o della SACE o se prevarrà qualche altra formula mista pubblica – privata. L’importante è trovare una soluzione complessiva in grado di rendere nuovamente fluido il credito diretto alle imprese.

Anche perché sedersi pazientemente sulla riva del Grande Fiume ad attendere il passaggio della salma del nostro credito deteriorato mi pare francamente troppo pericoloso. Il rischio, infatti, è quello di veder passare  prima, nella corrente, i poveri resti delle nostre PMI.

Andrea Ferretti, Docente al Corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona.

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