Le elezioni politiche in Spagna segnano un doppio risultato chiaro: da un lato il superamento del bipolarismo classico del ‘900, quello tra socialisti e popolari; dall’altro la necessità della loro identità comune, alimentata dalle nuove tendenze anti sistema che vi si oppongono.
Il paradosso di questo quadro inedito è che esso si è presentato nel segno della contraddizione, consegnando la Spagna alla più estrema ingovernabilità e mettendo nelle mani di re Filippo la bomba politica più incandescente dopo la transizione post franchista.
I Popolari, guidati dal leader tecnocratico Rajoy, hanno vinto le elezioni, ma con un numero di seggi insufficienti per formare un governo di maggioranza assoluta. I Socialisti, invece, perdono ma non spariscono, consegnando a Podemos di Iglesias un peso politico antagonista molto rilevante. Di grande incisività è l’affermazione di Ciudadanos, che si attesta ormai anche alle nazionali come una forza centrista imprescindibile e fortemente destabilizzante dal punto di vista numerico.
Dopodiché vi sono tutti i partiti indipendentisti destinati a svolgere un ruolo decisivo nelle lunghe e forse inconcludenti consultazioni già iniziate. La capacità di questo piano eterogeneo e pluralista nel permettere la formazione di un esecutivo è molto problematica.
Sono possibili tre scenari. O un governo popolari e centristi, che tuttavia dovrebbe allearsi con altre forze politiche di destra per rendere possibile il risultato parlamentare. O una maggioranza socialisti e sinistra, con tutte le incognite anti europee che si insidierebbero. Oppure, terza ipotesi, il più razionale ma anche il meno digeribile dagli spagnoli patto tra popolari e socialisti.
Per noi italiani, per altro citati nelle analisi di questo strano risultato, non ci sarebbero, in tal caso, difficoltà che invece sono pesantissime per gli iberici. La guerra civile, la contrapposizione netta tra conservatori e progressisti, che sta nel DNA della Spagna, e il bipolarismo trentennale non depongono a favore di una risoluzione del genere.
Quello che si può dire, in linea di massima, è che questa situazione, al pari dello scenario greco, mette la politica europea di fronte a una novità molto significativa: quella dell’opzione tra stabilità spenta ma razionale e movimentismo irrazionale, coinvolgente ma instabile.
Ovunque si vota appare chiarissimo in primo luogo che la contrapposizione socialisti – popolari, insieme a quella originaria tra centrodestra e centrosinistra, perde consistenza a vantaggio di quella tra il centro democratico, di governo europeo, e le forze estreme anti sistema, di estrema destra e sinistra.
Non si tratta, a ben vedere, di un caso, ma della distinzione tra due orientamenti macro politici, l’uno tendente a concepire il futuro dei Paesi, in speciale della Spagna, nella linea dello sviluppo tradizionale; l’altro invece orientato per la rottura e il relativo cambio di marcia. Sebbene, dunque, nel caso spagnolo rimangano alcune intrinseche perplessità, oggi di fatto l’Europa vive già di una governance centrista che accomuna le due grandi famiglie, lacerata a sinistra e a destra da movimenti populisti in ascesa che puntano sul superamento extra istituzionale del quadro continentale ereditato dal passato e privo oggi di popolarità.
La Spagna, un po’ come avvenne negli anni ’30 del secolo passato in occasione della drammatica guerra civile, sarà un’officina sperimentale per capire se il richiamo alle identità centrifughe sia più forte della stabilità del sistema. Il paventato rischio di una non soluzione dell’antinomia iberica aprirebbe uno scenario di incertezza che, oltre a mettere a rischio la ripresa economica nazionale della Spagna, genererebbe l’acuirsi delle incognite in tutti gli altri Paesi, non da ultimo in Francia, la quale, come si sa, ha visto il fronteggiarsi unito di popolari e socialisti contro il FN.
Forse un certo rilancio comunitario di una politica più democratica, ossia maggiormente in grado di generare consensi al centro, aiuterebbe l’Europa a non deflagrare o implodere in se stessa, garantendo a Rajoy e Sanchez di far guadagnare spazi di influenza internazionale al loro Paese, superando oltretutto definitivamente l’ombra remota e pesante del franchismo.
Ad essere certa ovunque è l’insensatezza della contrapposizione tra popolari e socialisti e la necessità di trovare una prospettiva centrista e democratica, europeista e dinamica, atlantica e aperta ad Est, all’altezza dei nostri tempi. Sennò vivremo e moriremo di consensi privi di ragionevolezza e progettazione, con l’enorme enigma di una vulnerabilità globale davanti al terrorismo.