Il 21 dicembre le truppe talebane hanno assaltato la città di Sangin, nella provincia meridionale di Helmand. La situazione dell’Helmand è sempre più critica, e la sua caduta rappresenterebbe una grave sconfitta per le forze di difesa afgane, che cercano di frenare l’ascesa dei taliban in tutto il paese, ma a Sangin stanno subendo perdite importanti, tanto che s’è resa necessaria la distribuzione di altre truppe britanniche. Il governatore locale ha dichiarato che Sangin è ben difesa e non teme l’attacco, mentre il suo vice ha esplicitamente detto che la città è ormai in mano ai talebani; circa il 65 per cento della provincia è ora sotto il controllo dei ribelli, ha detto invece il capo del consiglio provinciale di Helmand, Muhammad Kareem Atal.
IL COMMENTO
Il corrispondente della BBC per le questioni della Difesa, Jonathan Marcus, ha scritto sul sito della televisione inglese che la situazione che s’è creata a Sangin «ha messo in evidenza le disfunzioni al cuore del governo afgano e portato i continui problemi dei militari afgani ad un livello ancora più elevato». La città dell’Helmand però è solo l’ultima in ordine cronologico delle aree attaccate e parzialmente riconquistate dai talebani (a settembre era toccato a Kunduz, poi ripresa dai governativi). La strategia attuale del gruppo, è quella di portare avanti una continua serie di offensive, che secondo Marcus si legano anche alle divisioni interne al gruppo, dove le varie fazioni vogliono cercare di mostrare la propria preminenza sulle altre. L’offensiva nel sud è stata infatti prevalentemente condotta dai combattenti fedeli al mullah Qayum Zakir, un ex detenuto di Guantanamo, considerato uno degli artefici della rinascita talebana e rivale di primo piano del nuovo leader supremo dei talebani, Mullah Akhtar Muhammad Mansour.
Occhio all’Isis. In tutto questo, come spesso succede in situazioni caotiche del genere, va segnalato l’attecchimento delle istanze del Califfato, che è ancora una realtà minoritaria, ma si sta diffondendo. Tempo fa, in una conversazione con Formiche.net, il generale italiano Luciano Piacentini, che ha passato diversi anni in Afghanistan negli apparati di informazione militare, indicò proprio il Khorasan (la regione storica che comprende parti di Afghanistan, Pakistan e Iran) come una delle aree di espansione prioritarie per l’Isis. Paola Peduzzi sul Foglio ricorda che «tutte le sere alle 6, nell’est dell’Afghanistan, la Radio del Califfato inizia le sue trasmissioni con “l’inferno dà il benvenuto a cospiratori e infedeli”».
IL RUOLO DEI BRITANNICI
La provincia di Helmand era di responsabilità britannica durante l’impegno ISAF-Nato in Afghanistan (che toccò il picco di 9500 soldati inglesi). Proprio la città di Sangin fu protagonista di una delle principali battaglie a cui presero parte i soldati del Regno Unito: un assedio che durò dal giugno 2006 all’aprile del 2007; divenne una delle storie emblematiche delle difficoltà incontrate dalle truppe occidentali, tanto che fu soprannominata “Sangigrad” (in riferimento allo storico assedio di Stalingrado). La città ha un forte valore simbolico per l’opinione pubblica inglese, perché circa un quarto dei soldati della regina morti in battaglia in Afghanistan, è caduto a Sangin.
Truppe inglesi. Era noto già che un piccolo nucleo di forze speciali inglesi era stato inviato a Camp Shorabak (presso Camp Bastion, l’ex base britannica) con il compito di consulenza ai soldati locali, ma senza ruoli “combat” e senza essere schierati fuori dalla base; anche se secondo il Mirror, l’unità composta da meno di 10 elementi dello Special Boat Servici, incursori della marina, aveva il compito di illuminare da terra gli obiettivi per i bombardamenti dei caccia alleati. Ufficialmente, per il ministero della Difesa di Londra, erano parte di un accordo Nato più grande per fornire training alle forze di sicurezza locali; la missione inglese in Afghanistan s’è conclusa lo scorso anno, lasciando 450 soldati nel paese come advisor per le istituzioni locali. Il Times ha scritto che ci sarebbero anche 30 operatori dello Special Air Service, forze speciali inglesi, che insieme ad altri 60 omologhi americani stanno combattendo la fianco degli afghani per difendere Sangin (Sono lì perché «la caduta della città sarebbe umiliante per le forze afghane e per quelle inglesi e americane che hanno subito pesanti perdite» per riconquistarla anni fa, spiega il quotidiano londinese).
Le reazioni. I principali giornali britannici hanno accolto con stupore e indignazione la notizia dell’invio di altre truppe in Helmand in modalità operativa, che arriverebbe appena pochi anni dopo le storie sanguinose che li avevano coinvolti laggiù, e soltanto l’anno successivo al ritiro effettivo dalle attività di guerra. Il Telegraph ha parlato di «rabbia e senso di rifiuto» intervistando alcuni famigliari delle vittime: «Stiamo pagando il prezzo di un fallimento» ha detto al giornale il figlio di un soldato rimasto con deficit neurologici e mutilato ad entrambe le gambe durante la battaglia di Sangin.
LA SITUAZIONE GEOGRAFICA
L’Helmand è la più grande provincia afghana in termini di dimensioni territoriali. Si trova ad est di Kandahar, la città sacra per il gruppo islamista ribelle, ed è considerata molto importante dai Taliban per via delle sue risorse. Nell’Helmand si coltiva infatti il grosso del papavero da oppio: i talebani hanno sempre sfruttato le rotte attraverso le aree desertiche dell’Helmand per il traffico dei prodotti stupefacenti grezzi o lavorati. Inoltre, la provincia ospita anche la più grande cava di marmo dell’Afghanistan, da cui il gruppo guidato dal mullah Mansour ricava dazi per finanziarsi. La fascia sud, inoltre, condivide un lungo e volatile confine strategico con il Pakistan, dove la gran parte della leadership talebana vive: alcuni analisti sentiti dal New York Times, pensano che questa offensiva possa anche essere un modo per assicurarsi territorio e creare strutture di protezione più sicure per i leader. Per Ahmed Rashid, studioso di Afghanistan e Pakistan intervistato dal Financial Times, non è da escludere che dietro all’offensiva ci sia la volontà di dichiarare, una volta acquisito il controllo dell’intera provincia, un consiglio direttivo talebano alternativo, da parte di fazioni scissioniste.
L’AMERICA
Al nord, oltre la capitale Kabul, si trova la grande base americana di Bagram, dove lunedì un attentatore suicida a bordo di una moto ha ucciso sei soldati americani (la Reuters ha rivelato i loro nomi). L’attentato, accolto tra i festeggiamenti talebani, è stato il più letale del 2015 (durante il resto dell’anno sono stati uccisi 15 militari stranieri). Ad ottobre il presidente americano Barack Obama annunciò che una delle sue più grande promesse elettorali non sarebbe stata mantenuta: il contingente statunitense in Afghanistan non sarebbe stato ritirato del tutto, e circa 9800 uomini sarebbero rimasti, ma solo per aiutare le istituzioni di sicurezza locali, perché Washington non ha intenzione di portare avanti «una guerra permanente», disse Obama. Da qualche settimana gira la notizia che alcuni operatori delle forze speciali americane sono stati inviati in Helmand, ma il Pentagono non conferma, perché si troverebbe a smentire l’Amministrazione, visto che questi uomini sono lì per combattere; è probabile che siano gli stessi di cui parla il Times.