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Perché Modi è andato a sorpresa in Pakistan

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha fatto una sosta a sorpresa in Pakistan il giorno di Natale, venerdì, per incontrare il suo omologo, Nawaz Sharif: è la prima volta che un premier indiano visita il Pakistan, nazione rivale, in oltre un decennio.

La tappa a Lahore, nel ritorno dal viaggio in Russia in cui il premier indiano ha siglato importanti accordi commerciali e militari, non era prevista: una sorta di improvvisata nel giorno del 66° compleanno di Sharif. I due leader hanno parlato per 90 minuti, dopo che Sharif ha accolto Modi nell’aeroporto della città dell’est pakistano e si sono trasferiti con un elicottero nella tenuta di famiglia del primo ministro del Pakistan (addobbata per le nozze del nipote, sabato): “Posso passare per un saluto”, “sei mio ospite per prendere un té”, è stato questo il tono del dialogo preliminare tra i capi di governo secondo ciò che il ministro degli Esteri pakistano Aizaz Chaudhry ha raccontato ai giornalisti. Un colloquio che potrebbe rappresentare una speranza per la pace tra i due Stati, «entrambi dotati dell’atomica e separati da 65 anni di tensioni» dice la Reuters.

IL BACKGROUND

La visita di Lahore arriva dopo  che India e Pakistan hanno ripreso i contatti ad alto livello con una breve conversazione tra Sharif e Modi durante i colloqui sul cambiamento climatico a Parigi alla fine del mese scorso, che sono parte degli sforzi per rilanciare un dialogo di pace afflitto da attacchi dei militanti e da diffidenze di lunga data.

Terrorismo. La visita di Modi è la prima da parte di un primo ministro indiano nel Pakistan dopo gli attentati di Mumbai del 26 novembre 2008, in cui 166 persone sono state uccise nella città indiana da militanti addestrati in Pakistan per mano del gruppo Lashkar-e-Taiba (ora ribattezzato Jama’at ud Dawa). I servizi segreti pakistani (l’ISI) sono stati più volte criticati per aver rapporti ambigui con le realtà radicali interne al paese (sia nazionaliste che islamiste): Nuova Dehli li accusa di lasciare campo aperto al gruppo anti-indiano; l’uomo accusato di essere la mente di Mumbai, Zaki-ur-Rehman Lakhv, è stato liberato da un carcere pakistano quest’anno. Altro esempio, molti in Afghanistan sostengono che i servizi segreti pakistani offrono appoggio e retroscena all’insurrezione talebana (islamica radicale) a Kabul, solo con il fine di limitare l’influenza indiana nel paese. La sfera militare del potere a Islamabad, è quella che più si oppone ad una riconciliazione. A giugno Modi ha pubblicamente accusato il governo di Islamabad di lasciar compiere attentati terroristici in India. Da parte sua, il Pakistan accusa l’India di fornire sostegno ai ribelli separatisti in Balochistan e agli attivisti politici violenti nella capitale commerciale della contea di Karachi.

Divisioni culturali. Chiusa l’epoca coloniale inglese, che ha comandato i due paesi come India britannica fino al 1947, la divisione territoriale ha seguito delle linee etnico-culturali: in Pakistan gli islamici, in India gli indù. Modi è un nazionalista indù, salito al potere nel 2014, che ha autorizzato un approccio più robusto nei confronti del Pakistan, dando mandato alle forze di sicurezza di reagire con forza lungo il confine conteso, e chiedendo la fine degli attacchi dei ribelli in territorio indiano. Pende ancora la questione del Kashmir (un terzo del territorio è pakistano, l’altra parte indiana, ma i due Paesi ne rivendicano l’interezza da decenni), ancora irrisolta. Ad agosto, proprio per la violazione del cessate il fuoco sulle linee di confine, erano saltati vertici bilaterali tra i due paesi.

IL FACILITATORE

Secondo il Times of India, dietro alla decisione di Modi ci sarebbe la pressione di alcune componenti del sistema produttivo del paese: in particolare, un uomo, magnate dell’acciaio Sajjan Jindal, presidente del gruppo JSW Steel, il secondo gruppo dell’acciaio del subcontinente, sarebbe da tempo al lavoro per favorire i contatti tra i due Paesi. Jindal è un personaggio molto in voga dallo scorso anno, quando la giornalista televisiva indiana Barkha Dutt scrisse nel suo libro “This Unquiet Land: Stories from India’s Fault Lines” che l’imprenditore aveva promosso un incontro tra i due premier al vertice Saarc ( outh Asian Association for Regional Cooperation) di Kathmandu, saltato (o forse sabotato) all’ultimo minuto. Jindal sarebbe stato tra gli invitati alla festa per il matrimonio del nipote e compleanno del premier pakistano (appena pochi minuti dopo il tweet con cui Modi ha comunicato la decisione di fare visita a Lahore, Jindal ha comunicato, sempre su Twitter, la sua presenza là). Secondo gli osservatori, Jindal ha una grossa influenza sulle linee politiche di Sharif. I giorni prima della visita semi-ufficiale, c’erano già stati contatti tra alcuni diplomatici dei due paesi.

COMMENTI

L’opinione pubblica interna si è divisa tra aperture e critiche, sia in Pakistan che in India. La diffidenza è ancora alta, e decenni di conflitto (aperto o indiretto) sono difficili da cancellare, ma non c’è dubbio che si tratta di un’importante apertura tra due potenze, atomiche, della regione dell’Asia centrale. In un editoriale non firmato (ciò quelli che indicano la linea del giornale) il quotidiano indiano The Hindu, tra i più seguiti, ha scritto che la decisione di Modi arriva alla fine di un anno difficile, e per questo si tratta di un’iniziativa lodevole quanto audace: «Se la mossa del signor Modi nei confronti del Pakistan rappresenta una maturazione e la progressione della sua posizione, l’attacco del partito del Congresso (l’opposizione. ndr) sulla visita di Lahore rappresenta una regressione grossolana».

Per Sharif, fin dall’elezione del 2013 il miglioramento delle relazioni con l’India rappresentava una delle priorità; l’anno successivo anche Modi, vincitore delle elezioni indiane, sembrava avere idee simili, dunque i tempi erano maturi (Sharif partecipò alla cerimonia di inaugurazione del primo ministro indiano).

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