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Tutte le provocazioni iraniane che preoccupano l’Occidente

Gli Stati Uniti accusano l’Iran di aver sparato razzi non guidati caduti a poco più di un chilometro dalla portaerei nucleare “Harry Truman”. La nave americana, insieme al suo gruppo da battaglia, ha iniziato ufficialmente martedì scorso le operazioni contro lo Stato islamico (una missione iniziata a metà novembre per rimpiazzare il vuoto di potenza lasciato per circa un mese dalla partenza dell’omologa “Theodore Roosevelt”).

La Truman stava attraversando lo stretto di Hormuz, dove il confine tra Oman e Emirati Arabi Uniti diventa una lingua geomorfologica che chiude il golfo Persico e forma il golfo dell’Oman, quando due navette della Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRCGN) in esercitazione hanno aperto live-fire verso la rotta della portaerei. Nelle vicinanze del punto di caduta dei colpi, incrociavano anche il cacciatorpediniere”Bulkeley” (del gruppo da battaglia della Truman), una fregata francese e alcune navi commerciali, secondo le testimonianze di funzionari americani raccolte dalla Nbc.

L’avviso del fuoco è stato dato soltanto 23 secondi prima che i colpi venissero lanciati, ha detto il comandante della Marina americana Kyle Raines, portavoce del Comando Centrale: un tempo che rende impossibile ogni manovra correttiva della rotta. Il comandante Kevin Stephens, portavoce della Quinta Flotta, ha detto in una nota che le azioni «così vicino alle rotte di passaggio della coalizione e del traffico commerciale, all’interno di una corsia riconosciuta a livello internazionale» sono state «poco professionali, e in contrasto con il diritto marittimo internazionale».

PROVOCAZIONI

Non ci sono commenti ufficiali dall’Iran, se non un report dell’agenzia statale Fars, che ha sottolineato come nessuna delle navi fosse effettivamente in pericolo. Anche ammesso questo, rilevano diversi osservatori, si tratta comunque di un’azione provocatoria e pericolosa, visto l’entità non-guidata (dunque non assolutamente precisa) dei missili sparati. La notte del 15 aprile di quest’anno, 11 missili non guidati sono stati sparati a circa sei miglia nautiche dalla portaerei Theodore Roosevelt (stessa sorte era toccata nell’ottobre del 2014 alla “George H.W. Bush”).

L’Iran, nonostante il tentativo di aumentare lo status internazionale dopo l’accordo sul suo programma nucleare, continua a seguire una propria agenda, fatta anche di provocazioni verso l’Occidente. Qualche giorno fa, elementi del governo iracheno legati all’asse sciita con cui la Repubblica islamica si allunga all’interno di diversi Paesi mediorientali, hanno attaccato l’Italia, rea di aver anticipato la volontà di inviare militari a protezione dei lavori di ristrutturazione della diga di Mosul, che la ditta Trevi di Cesena si è aggiudicata. Una delle milizie sciite irachene comandate da Teheran, aveva in precedenza annunciato che avrebbe considerato i soldati di Roma come una forza di occupazione da cui difendersi.

IL TEST MISSILISTICO DI OTTOBRE

Il 10 ottobre l’Iran ha testato un nuovo missile balistico, l’Emad, che potrebbe veicolare testate nucleari, circostanza accolta tra le critiche dei repubblicani americani, che rammentavano la validità della loro opposizione all’accordo con l’Iran. Poi, il 15 dicembre, il panel Onu che si occupa di seguire il comportamento di Teheran ha dichiarato che quel test missilistico era una palese violazione della risoluzione 1929 del Consiglio di sicurezza, perché riguardava un missile in grado di portare testate nucleari. E la questione s’è riaccesa, anche in vista delle elezioni presidenziali. I Repubblicani chiedevano nuove sanzioni e i Democratici dicevano che l’accordo in realtà non era stato violato perché non c’era di fatto nessun ordigno nucleare sul missile. Reuters ha commentato: «L’Amministrazione Obama si trova in una situazione complicata: l’Iran ha detto che qualsiasi nuova sanzione può compromettere l’intero accordo nucleare. Ma se Washington non chiedesse nuove sanzioni, finirebbe per essere considerata debole».

I GUAI DELL’ACCORDO CON TEHERAN

Le provocazioni di Teheran passano sotto traccia per non mettere in discussione un negoziato su cui il presidente Barack Obama ha puntato molto in politica estera. M l’Arabia Saudita, alleato americano scontento dell’accordo, s’è fatta promotrice di una coalizione militare, una sorta di “Nato islamica”, che racchiude trentaquattro Stati sunniti, per gestire in proprio alcuni dossier. Questi soldati sono destinati ad essere gli stivali occidentali contro lo Stato islamico, visto che molti dei Paesi presenti nell’alleanza spinta dai sauditi, sono partner della Coalizione occidentale “anti-Isis”. Soldati che si troveranno sul campo davanti ad una forza combattente sciita, mossa dalle Guardie rivoluzionarie iraniane, le milizie sciite degli aytollah, gli Hezbollah libanesi e l’esercito di Bashar al-Assad, tutto sotto la regia politico-diplomatica della Russia. Due gruppi combattenti che formalmente hanno un unico nemico, l’Isis, ma sono spaccati da divisioni secolari e perseguono obiettivi inconciliabili (per esempio: il destino del dittatore siriano.

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