Secondo un nuovo report del Congresso americano, la vendita di armi negli Stati Uniti è aumentata del 35 per cento nel 2014 (cioè “+10 miliardi di dollari”), nonostante il mercato globale degli armamenti abbia praticamente visto invariato il volume di affari.
A far salire da 26,7 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 36,2 del 2014 sono stati grossi contratti chiuso con il Qatar, la Corea del Sud e l’Arabia Saudita. Gli Stati Uniti sono in cima alla classifica delle esportazioni mondiali di armi, seguiti dalla Russia con 10,2 miliardi di dollari (rispetto ai 10,2 del 2013), cioè meno di un terzo dell’America. Tra i principali acquirenti statunitensi c’è l’Iraq (secondo solo alla Corea del Sud), dove l’invio di armi è parte dello sforzo americano per contrastare lo Stato islamico; armi che, talvolta, sono finite in mano ai baghdadisti a causa dell’impreparazione dimostrata dall’esercito iracheno, soprattutto nelle prime fasi dell’offensiva del Califfato.
La relazione annuale del Congressional Research Service, una divisione della Library of Congress è uno dei dati più dettagliati sul commercio legale di armi, e ricopre un arco temporale che va dal 2007 al 2014: la previsione è che gli Stati Uniti resteranno i principali esportatori del mondo di armamenti anche nel prossimo futuro, nonostante l’avvio del consolidamento di alcuni Paesi come la Cina (che ultimamente ha chiuso un grosso affare per la fornitura di droni armati proprio con l’Iraq).
LE ARMI IN CASA
Al contrario la policy diffusa da Barack Obama fin dai tempi della sua prima candidatura è stata la demilitarizzazione dell’impegno globale americano, che lo ha portato a vincere il premio Nobel per la Pace nel 2009 «per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e cooperazione tra i popoli», come recita la motivazione ufficiale.
L’incremento del commercio di armi all’estero fa da contraltare a quanto il presidente Usa sta facendo per cercare di mettere dei limiti più stringenti alla vendita di armi negli Stati Uniti. Associated Press scrive che il presidente potrebbe aprire il nuovo anno con l’annuncio di un ordine esecutivo che renda più difficile l’acquisto di armi da fuoco. Lunedì è previsto un incontro tra Obama e il procuratore generale Loretta Lynch (che è il “ministro della Giustizia” nel sistema politico americano) per studiare la procedura giurisprudenziale con cui la Casa Bianca potrebbe aggirare il voto del Congresso.
Mentre gli oppositori si concentrano anche sulla discussione costituzionale in merito al fatto che Obama sta spostando molte decisioni su ordini esecutivi, e dunque accentrando eccessivamente il potere sulla Casa Bianca, il dato che esce dal 2015 è un bilancio di guerra: negli Stati Uniti, secondo il Gun Violence Archive ci sono stati 12mila morti per colpi d’arma da fuoco e 24mila feriti durante l’anno appena concluso. Il dibattito s’è riacceso dopo la strage di San Bernardino (la peggiore dopo quella di Sandy Hook di Newtown, avvenuta tre anni fa, in cui morirono 28 persone), durante la quale elementi radicalizzati islamici hanno ucciso 14 persone sparando con armi acquistate regolarmente. Ted Alcorn, direttore dell’organizzazione no profit Everytown for Gun Safety, una società di ricerca che chiede una limitazione della vendita d’armi, aveva spiegato al New York Times che i “mass shooting” come quello di San Bernardino in realtà sono solo una piccola percentuale dei casi in cui negli Stati Uniti muoiono persone a causa delle armi: «In California, a San Bernardino, sono morte 14 persone, ed è un’orribile tragedia. Ma in media circa altre 88 persone sono morte in quello stesso giorno negli Stati Uniti per colpa delle armi».