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IIT, EXPO e lo Human Technopole

Valutando quanto diverse siano le posizioni assunte in casi come quello delle vaccinazioni, degli OGM e della Xylella fastidiosa, emerge con chiarezza che il governo, oggi, non dispone di un organismo consigliare scientifico che fornisca al potere esecutivo le informazioni necessarie ad assumere le conseguenti scelte politiche.

C’è stato un tempo, invece, in cui tale ruolo era svolto dal CNR che proprio per tale ragione si chiama “Consiglio Nazionale delle Ricerche (e non Centro, come spesso viene erroneamente detto e scritto) e che oggi invece svolge attività di ricerca scientifica come i molti Enti Pubblici di Ricerca Italiani, dei quali resta di gran lunga il principale. Il CNR nasce nel 1919, nel 1927 viene posto alle dirette dipendenze del Governo e nel ‘45 diviene organo dello Stato con compiti di consulenza e di coordinamento scientifico vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

D’altronde, il governo una politica scientifica la deve comunque progettare e cercare di attuare: con il Programma nazionale di ricerca, almeno in teoria, e sul piano più concreto mediante le assegnazioni di fondi diretti a Enti e Università e mediante le indicazioni strategiche date alla organizzazione del comparto.

Da questo ultimo punto di vista ha fatto molto rumore, di recente, la scelta annunciata il 9 novembre 2015 dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di finanziare l’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia con 150 milioni l’anno per dieci anni per far nascere lo Human Technopole, cioè la struttura che sarà ospitata nell’area dell’EXPO a Milano.

Che relazione c’è tra l’IIT e l’EXPO? Apparentemente nessuna. Ma procediamo con ordine. EXPO è stata un successo. Ma, come ricorda Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano, “nessun operatore privato” ha risposto al bando del novembre 2014 che metteva in vendita l’area per 314 milioni. Si è creato pertanto un evidente problema di riqualificazione. L’idea ambiziosa annunciata da Renzi è di trasformarla in una Città della Scienza per far diventare Milano uno dei poli mondiali della ricerca. Circa 70 dei 400 mila metri quadrati dell’EXPO (che succederà dei restanti 300 mila?) destinati ad un centro che si occupi di innovazione: tecnologie per l’invecchiamento, “precision medicine” per cancro e malattie neurodegenerative, tecnologie per l’alimentazione e l’agronomia, nanotecnologie verdi, ingegneria per il patrimonio culturale e analisi dei “big data” prodotti tramite sequenziamento del genoma e del trascrittoma, alla base della medicina del futuro.

Nelle intenzioni l’iniziativa vedrà il coinvolgimento delle università milanesi e di partner come Ibm Watson Lab, Google, Weizmann Institute, European Molecular Biology Laboratory, Ferrero, Nestlè, Barilla, Bayer, Dupont e Novartis. L’operazione sembra interessare anche il Presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca, fondatore dell’Istituto di cura e ricerca Humanitas, fiore all’occhiello della Sanità Lombarda. È stato formato un comitato guida per preparare il piano esecutivo entro il 25 febbraio . Comitato formato dai Rettori dell’Università Statale di Milano, Gianluca Vago, del Politecnico, Giovanni Azzone e della Bicocca, Cristina Messa. E presieduto dal Direttore dell’IIT, Roberto Cingolani. Salta all’occhio il finanziamento faraonico all’IIT, in un paese dove si tagliano i finanziamenti per la ricerca pubblica. E poi il fatto che nessun ente pubblico di ricerca sia coinvolto.

Si ripropone così una vexata quaestio. L’IIT è governato da una fondazione di diritto privato creata alla fine del 2003 dai ministri Giulio Tremonti e Letizia Moratti. La comunità scientifica, industriale e politica è da sempre divisa su tale scelta. Tra gli entusiasti l’economista Francesco Gavazzi, che sul Corriere della Sera nel 2003 scriveva: “L’IIT è uno strumento per far compiere un salto al paese, perché introdurrà la competizione nel mondo dell’università e della ricerca e romperà lobby e baronie”. Tanto entusiasmo era giustificato? In realtà, la Fondazione IIT ha lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico, favorendo lo sviluppo del sistema produttivo nazionale. Una “mission” molto simile a quella di altri enti, prendiamo ad esempio il CNR che è il più rappresentativo: “creare valore attraverso le conoscenze generate dalla ricerca”. Il convincimento che l’attività di ricerca e sviluppo sia determinante per generare maggior occupazione, benessere e coesione sociale è insomma condivisa da tutti.

Dal punto di vista sostanziale, l’IIT è un soggetto di diritto privato finanziato con denaro pubblico. Conta su circa 1.000 dipendenti e su un finanziamento annuale di 100 milioni di euro: 100 mila euro a dipendente. A questo finanziamento si aggiungerebbero i 150 milioni di euro per 10 anni per lo Human Tecnhopole. Il CNR è vigilato dal MIUR e totalmente pubblico. Conta circa 7.000 dipendenti, di cui 4.500 ricercatori, che raddoppiano circa contando quelli non strutturati. Viene finanziato con meno di 500 milioni di euro: circa 70 mila euro a dipendente, molto meno considerando i ricercatori precari.

Come fanno gli enti di ricerca totalmente pubblici a vivere? Si autofinanziano, nel caso del CNR reperendo all’esterno in modo competitivo una cifra equivalente a quella del finanziamento diretto, grazie ai progetti dei ricercatori. Al contrario di quanto avviene per IIT, infatti, il finanziamento governativo copre esclusivamente e nemmeno integralmente le spese di mantenimento, stipendi e costo delle strutture, ma non la ricerca. Inoltre, i fondi assegnati agli enti pubblici di ricerca dal MIUR variano ogni anno e quindi impediscono qualunque programmazione. Si si considerano gli andamenti su un piano pluriennale, anzi, il CNR negli ultimi anni ha visto una costante contrazione in temine di finanziamenti e di personale.

Siamo convinti che lo Human Tecnhopole sia una grande opportunità. Anche il Presidente del CNR, Luigi Nicolais, lo ha dichiarato: “un segnale di grande attenzione per tutta la comunità scientifica nazionale”. Ma dev’essere un progetto davvero inclusivo. E non è comunque la panacea per un comparto in grave crisi, anzi rischia di diventare un elemento di ulteriore dispersione di tutte le risorse del settore. Che dal governo ancora attende una decisione di riorganizzazione seria.

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