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Parigi, Bruxelles, Colonia. Europa vulnerabile

Il 7 gennaio 2016, ad un anno esatto dagli attentati alla redazione del giornale francese Charlie Hebdo e al supermercato ebraico, un uomo è stato ucciso mentre tentava di entrare in un commissariato di polizia nel XVIII arrondissement di Parigi. L’uomo, un marocchino di 20 anni, aveva in mano una specie di machete e indossava una finta cintura esplosiva: addosso gli sono stati ritrovati un biglietto di rivendicazione scritto in arabo e l’immagine del drappo nero dello Stato islamico stampata su un foglio. Il Monde scrive che non sono chiare le dinamiche del tentativo di attentato, ma è abbastanza certo che la capitale francese è finita ancora una volta sotto attacco del radicalismo islamico; è molto probabile che il ragazzo sia auto-indottrinato, un assalitore indipendente che ha pescato dall’immensa mole narrativa che i mezzi mediatici del Califfato hanno messo online, e abbia deciso di agire. Le indagini chiariranno.

LA DIREZIONE DELL’ATTACCO AL BATACLAN

Nello stesso giorno la CNN ha pubblicato una notizia interessante che riguarda sempre Parigi, ma un altro attentato: quello multiplo del 13 novembre 2015, nemmeno due mesi fa. Un alto funzionario dell’antiterrorismo belga che ha parlato in anonimato con la rete all news americana, ha detto, tra le altre cose, che dalle indagini emerge che ci sarebbero state due figure, ancora  in libertà, che avrebbero dato gli ordini agli attentatori “del Bataclan”. Notizia in parte già trapelata, e che ridimensiona ulteriormente il ruolo di Abdelhamid Abaaoud, considerato dapprima la mente dell’intera operazione e il riferimento dell’Isis in Europa, poi solo il comandante operativo dell’azione militare, e che ora risulterebbe essere niente più di “un sergente sul campo” comandato da remoto da altri due senior leader.

Le autorità belghe hanno diffuso per ora solo le immagini in bianco e nero dei due sospetti: è la prima volta che Bruxelles parla apertamente del ruolo di primo piano svolto dalle due persone. Gli investigatori belgi, secondo la fonte della CNN, sarebbero vicini a svelarne anche le identità: un’anticipazione riguarda il fatto che uno di loro dovrebbe essere un cittadino regolare del Belgio, l’altro forse no.

Già il mese scorso, un altro alto funzionario dell’antiterrorismo belga e una fonte informata sulle indagini francesi avevano detto alla CNN che «25 messaggi erano stati scambiati tra un telefono Samsung recuperato al di fuori della sala concerti Bataclan e un telefono, che al momento dei fatti si trovava in Belgio, nelle 24 ore prima dell’attacco, e che Abaaoud è stato anche in contatto durante la notte degli attacchi con un secondo telefono che si trova nella stessa zona, sempre in Belgio».

Per altro, la CNN rivela anche che le autorità belghe avrebbero individuato il covo dove il terrorista in fuga dalla strage di Parigi, Abdeslam Salah, è stato individuato. C’erano molte tracce del suo passaggio, ma l’attentatore è riuscito lo stesso a fuggire verso l’Ungheria, sfruttando falle e vuoti di sicurezza.

VUOTI DI INTELLIGENCE

Dunque gli attentatori di Parigi hanno avuto dei contatti continui sia nelle fasi di preparazione dell’attentato, sia durante, e pare anche dopo. Tutto sotto gli occhi di due intelligence, quella francese e belga, che avrebbero dovuto avere al massimo il livello di attenzione e di mutua comunicazione/collaborazione. Dopo l’attentato di un anno fa a Charlie Hebdo, era stata già ricostruita una traccia che portava a Bruxelles; pochi mesi prima, a dicembre del 2014, fu sventato un attentato nella città belga di Verviers, che sembra sia stato diretto/organizzato sempre da Abaaoud. È evidente che qualcosa nella risposta alla minaccia terroristica europea (ammesso che ne esista una univoca e partecipata: improbabile) sta funzionando male.

Il grande problema è legato alla mancanza di comunicazione tra le varie intelligence, sostengono diversi analisti: ognuno si occupa dei propri problemi di sicurezza, senza lavorare in un’ottica comunitaria.

UNO SCENARIO DI RISCHIO

Durante la notte di Capodanno, nella città tedesca di Colonia (e in altre città non solo tedesche) diverse donne hanno subito molestie (almeno 90 le denunce) per mano di uomini che sembrano avessero origine araba e nordafricana. Ieri la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato per la prima volta apertamente del fatto che quegli assalitori erano immigrati: la scia di polemiche è enorme e coinvolge l’Europa interna. La vicenda viene ripresa dai critici del multiculturalismo e dai falchi delle tematiche sull’immigrazione, ma fa vacillare anche le visioni più aperte e liberali. Un gruppo di criminali ha pianificato di colpire le donne europee, simbolo di libertà, parità di genere, emancipazione, con un chiaro fine ideologico ed ideologizzato da visioni islamiche integraliste? Non è chiaro ancora, saranno le indagini a stabilirlo. La Merkel ha però parlato di un assalto che mina la coesistenza delle cultura in Europa; il Wall Street Journal scrive che sarebbero 22 i richiedenti asilo coinvolti nella vicenda.

Al di là del tema attualissimo di integrazione e immigrazione, soprattutto in giorni in cui si pensa di sospendere gli accordi di libera circolazione di Schengen, la vicenda si lega ad un aspetto di sicurezza, cioè il controllo delle comunicazioni. Come nel caso dei due leader che hanno diretto le operazioni a Parigi, quello che fa riflettere in termini di sicurezza, è il coordinamento che c’è stato tra chi ha organizzato il piano criminale (o terroristico?) delle molestie di massa e chi ha aderito, in contemporanea, non solo a Colonia, ma anche ad Amburgo, Anversa e Zurigo. Nessuno, ovviamente, crede ad una circostanza causale. Il problema sta nel fatto che quel coordinamento, stando ai dati disponibili, poteva anche avere come scopo un attentato ancora più tragico e sanguinoso, passando comunque sotto traccia alle autorità: e dire che erano giorni in cui l’allerta sarebbe dovuta essere massima per le segnalazioni e le indagini che avevano preceduto la notte di San Silvestro. Il corso delle indagini, come detto, chiarirà i vari lati oscuri della vicenda.

LA STRATEGIA DEL TERRORE

È una questione enorme, perché non si può chiaramente intercettare e tenere sotto controllo tutto e tutti, ma che espone tutto e tutti ad enormi rischi. D’altronde, questa è la strategia del terrore da cui bisogna difendersi. Ed è strategia del terrore anche spaccare la società, creare polarizzazione e divisione: nel caso, il tema è sempre quello dell’immigrazione. “Immigrati che si organizzano per violentare donne europee”, è un segno forte, divisivo, che squarcia i principi di solidarietà e di libertà occidentali: quelli che combatte il Califfo.

 


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