Scrive su Repubblica Alberto Melloni che l’originalità della visita di ieri in Sinagoga sta nel fatto che Francesco è il primo Pontefice che “non ha nella sua storia personale e famigliare l’ombra della Shoah”. In particolare, ha aggiunto lo storico, “Bergoglio non deve leggere se stesso quale discendenza dei perpetratori, come noi europei. Non deve interrogarsi sull’antiebraismo dei battezzati, come ortodossi, cattolici e protestanti di qui. Non deve giustificare come vescovo la lentezza nel prendere atto di quel crimine, prima e dopo il 1945, come tanti suoi confratelli del primo mondo. E’ figlio di un mondo diverso ed è figlio del concilio chiuso mezzo secolo fa”. E’ anche per questo che il Pontefice, nel suo discorso pronunciato al Tempio Maggiore di Roma, ha insistito sugli sviluppi nel dialogo tra cattolici ed ebrei che si è avuto dopo l’assise aperta da Giovanni XXIII e chiusa da Paolo VI.
CHI C’ERA ALLA SINAGOGA DI ROMA PER LA VISITA DI PAPA FRANCESCO. LE FOTO
NOSTRA AETATE, IL PUNTO DI NON RITORNO
“Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; no a ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. Nostra aetate – ha aggiunto Francesco – ha definito teologicamente per la prima volta, in maniera esplicita, le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo. Essa naturalmente non ha risolto tutte le questioni teologiche che ci riguardano, ma vi ha fatto riferimento in maniera incoraggiante, fornendo un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni”.
“FRATELLI MAGGIORI DEI CRISTIANI”
Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani e responsabile del dialogo con l’ebraismo, ha sottolineato qual è stato (a suo giudizio) il fulcro della visita del vescovo di Roma in Sinagoga: il Papa ha ricordato che gli ebrei sono i fratelli maggiori dei cristiani, ed “è questo l’altro cuore del suo messaggio di ieri, il cuore in sostanza delle relazioni religiose e teologiche tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico: c’è un patrimonio comune, siamo la stessa famiglia di Dio. Due volte ieri Francesco ha menzionato il ‘popolo di Dio’ e il fatto che gli ebrei sono i fratelli maggiori”, ha osservato conversando con Paolo Rodari.
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IL PRECEDENTE DEL 1986
E in effetti il Pontefice ha richiamato la “bella espressione ‘fratelli maggiori'” che Giovanni Paolo II usò il 13 aprile del 1986, quando mise piedi nel Tempio maggiore assieme all’allora rabbino capo Elio Toaff. “Voi – ha osservato Francesco – siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi auguro che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede”.
UNITI PER LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI NEL MONDO
Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, in un’intervista al Corriere della Sera, è andato oltre il senso contingente della visita papale in Sinagoga, guardando alla possibilità di agire come un fronte unico dinanzi alle emergenze che sconvolgono il pianeta: “La chiesa cattolica, oltre a rappresentare la cristianità, svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo può essere molto utile se facilita il dialogo tra parti contrapposte, con azioni diplomatiche”.
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RUTH DUREGHELLO CONTRO “IL TERRORISMO ISLAMICO”
Dei fatti di cronaca che turbano il mondo ha parlato Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, nel suo intervento. E’ stata l’unica, in Sinagoga, a parlare esplicitamente di “terrorismo islamico” e a fare riferimento a quanto avviene oggi in Terra Santa: “Dobbiamo ricordare che la pace non si conquista seminando il terrore con i coltelli in mano, non si conquista versando sangue nelle strade di Gerusalemme, di Tel Aviv, di Ytamar, di Beth Shemesh e di Sderot. Non si conquista scavando tunnel, non si conquista lanciando missili. Possiamo affrontare un processo di pace – ha aggiunto Dureghello – contando i morti del terrorismo? No. Tutti noi dobbiamo dire al terrorismo di fermarsi. Non solo al terrorismo di Madrid, di Londra, di Bruxelles e di Parigi, ma anche a quello che colpisce ormai tutti i giorni Israele. Il terrorismo non ha mai giustificazione”. L’antisionismo, ha chiosato, “è la forma più moderna di antisemitismo”.
LE PAROLE DEL RABBINO DI SEGNI
Anche il rabbino capo Riccardo Di Segni ha parlato di terrorismo (all’inizio del suo discorso), ma in riferimento agli attentati palestinesi che insanguinarono Roma nei primi anni Ottanta. “Oggi il Tempio accoglie con gratitudine questa terza volte diventa chazaqà, consuetudine fissa. E’ decisamente il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato. La svolta sancita dal Concilio Vaticano cinquanta anni fa è stata confermata da numerosi e fondamentali atti e dichiarazioni, l’ultima di un mese fa, che hanno prima aperto e poi consolidato un percorso di conoscenza, di rispetto reciproco e di collaborazione”.