L’accordo sulla limitazione del nucleare iraniano sta andando a gonfie vele. La scadenza del 17 gennaio è stata rispettata. L’Iaea ha certificato il rispetto da parte di Teheran delle scadenze concordate a Vienna. Gli Usa e l’Europa hanno rispettivamente annullato o sospeso le pesanti sanzioni inflitte all’Iran per il nucleare.
Teheran è rientrata nell’economia mondiale. Potrà recuperare i 100 miliardi di dollari, congelati nelle banche mondiali. Potrà esportare petrolio e aumentarne la produzione. Ha scambiato prigionieri con gli Usa. Ha restituito immediatamente due scialuppe e 10 marinai americani che per errore erano entrati nelle acque territoriali iraniane.
Sulla disponibilità di rispettare l’accordo hanno influito le prossime elezioni iraniane di fine febbraio e l’ansia di Barack Obama di ottenere, dopo tanti rovesci, un successo in politica estera. Beninteso, si è ancora agli inizi. L’intesa potrebbe “saltare” qualora nei due paesi i radicali prevalessero sui moderati. L’ottimismo prevale. È rafforzato dalla comunanza d’interessi in vari settori esistente fra gli Usa e l’Iran. Entrambi, in Afghanistan, cercano di ostacolare il ritorno al potere dei Talebani e di colpire il traffico di droga. In Iraq, combattono il Daesh/Isis. Ma in molti altri settori sono contrapposti. In Siria, l’Iran sostiene Bashar al-Assad, sia direttamente, sia con le milizie sciite irachene e degli Hezbollah. Gli Usa vogliono abbatterlo. Lo stesso avviene nello Yemen con gli Houti, appoggiati dall’Iran.
Washington è preoccupata della crescente cooperazione fra Teheran e Mosca. Teme anche che l’Iran provochi l’implosione dell’Arabia Saudita e di altri Stati del Golfo. A più lungo termine, s’interroga se l’Iran sarà un elemento di stabilità o di ulteriore instabilità in Medio Oriente, come lo è stato con il regime iracheno di Nouri al-Maliki, che ha provocato la rivolta dei sunniti. Non sa come muteranno gli equilibri politici interni in Iran. Teme che con le maggiori risorse finanziarie acquisite a seguito dell’accordo, l’Iran adotti una politica estera più aggressiva, provocando inevitabilmente uno scontro con la Turchia. In un contesto globale, teme che l’Iran, con le sue esportazioni energetiche in Cina e India, divenga una potenza asiatica, rafforzando la Shanghai Cooperation Organization e facendo così perdere agli Usa la capacità di condizionare i due giganti asiatici con il controllo dei loro rifornimenti di petrolio e di gas. Sa che Teheran non potrà rinunciare alla sua politica avversa alla supremazia statunitense. Sarebbe un tradimento di Khomeini e della sua rivoluzione islamica, base della legittimità del regime.
Insomma, per quanto riguarda la geopolitica del Medio Oriente e i suoi riflessi su quella globale, l’implementation day segna la fine dell’inizio dl un processo di riaggiustamento politico del Medio Oriente, più che una tappa verso la sua conclusione. L’incertezza è aumentata dal fatto che si sa fino a che punto gli Usa abbiano interesse ad un’ulteriore diminuzione del prezzo del petrolio. La loro accresciuta sicurezza energetica potrebbe indurli a sostenere l’ormai potente lobby dello shale gas e dei petroli non convenzionali, danneggiata dai prezzi, resi ancor più bassi, dal ritorno iraniano sul mercato globale. Esso già conosce una sovrapproduzione.
Una più stretta cooperazione con l’Iran contrapporrebbe gli Usa ai loro alleati tradizionali: non solo all’Arabia Saudita e a Israele, ma anche alla Turchia. Un’alleanza con l’Iran, ammesso ma non concesso che sia fattibile, presenta numerosi rischi. Sarebbe in balia degli equilibri fra moderati e radicali iraniani.
Insomma, le conseguenze geopolitiche della fine delle sanzioni all’Iran sono tutt’altro che sicure. Solo le prossime mosse di Teheran potranno chiarire le sue conseguenze sul Medio Oriente.
A parer mio, l’aumento della forza economica aumenterà la potenza militare iraniane. Ciò avrà effetti superiori a quella del ritardo di una quindicina d’anni nell’acquisizione dell’arma nucleare da parte degli Ayatollah. Il possesso di qualche “bomba” non avrebbe mutato la correlazione delle forze in Medio Oriente. A nessuno, neppure ai neoconservatori americani più radicali – bomba atomica o meno – è venuto in mente di invadere l’Iran per cambiare il suo regime. È un solido Stato-nazione, anche se la sua popolazione è multietnica (i persiani sono circa il 50%). Non è uno Stato-tribù, come gli Stati arabi del Golfo, che non possono quindi difendersi da soli. È poi una specie di fortezza naturale, separata dal Golfo dai Monti Zagros.
La possibilità dell’Iran di mutare la geopolitica della regione, seguendo una politica aggressiva, dipende dalle sue capacità di proiezione di potenza oltre che dai suoi equilibri politici interni. Il possesso di qualche bomba avrebbe diminuito la sua libertà d’azione, obbligando gli Usa a mantenere anche a lunghissimo termine i loro impegni nella regione. Da essa stanno invece disimpegnandosi, dato che è sempre meno essenziale per i loro rifornimenti energetici. Francia e Regno Unito cercano in qualche modo di evitare il vuoto di potenza lasciato dagli Usa.
Hanno costituito basi militari. La loro esistenza faciliterà anche il loro rapporti commerciali con tutti i paesi del Golfo, Iran incluso. Per l’Italia, purtroppo, economia e strategia sembrano appartenere a due mondi del tutto separati. Sarebbe forse l’ora di una maggiore consapevolezza, innanzitutto culturale, al riguardo, non tanto per non essere trascinati nel confronto fra sciiti e sunniti – che non è confessionale, ma geopolitico – mentre abbiamo altre “gatte da pelare”, soprattutto in Libia. Anche nel Golfo, soprattutto per l’importanza che il “ritorno” dell’Iran ha per il nostro Paese, occorre essere consapevoli dei legami esistenti fra gli interessi economici e quelli di sicurezza, anche per l’Italia. La questione è stata però quasi completamente ignorata.