Non si arrestano le indiscrezioni e le dietrologie dopo l’annuncio dell’uscita dell’amministratore delegato delle Generali, Mario Greco, che dal primo maggio approderà alla svizzera Zurich.
LE IPOTESI E I RETROSCENA…
Giovanni Pons, su Repubblica del 27 gennaio, riportava la lettera inviata da Greco per dare l’addio al consiglio di amministrazione: “Non c’era una visione condivisa del mio ruolo in azienda, dovuta a contrasti con alcuni azionisti. Ringrazio Caltagirone e Del Vecchio che mi hanno scelto per primi e mi hanno sempre sostenuto”. Come a dire che con gli altri grandi azionisti del Leone, ossia la Mediobanca di Alberto Nagel e la De Agostini di Lorenzo Pellicioli, ci sarebbero stati dei contrasti.
Secondo il sito Dagospia, Nagel e Pellicioli, in asse con il finanziere Vincent Bolloré, avrebbero cercato di bloccare le velleità espansionistiche di Greco. E questo per evitare che Generali potesse fare concorrenza alla francese Axa, vicina a Bolloré. Ma quest’ultimo non solo non è azionista (almeno, da quel che si sa, non ha quote rilevanti da segnalare a Consob) delle Generali, ma fu costretto a lasciare il cda del Leone tempo fa per via della sanzione di Consob (si scoprì dopo) legata alla vicenda Groupama-Fondiaria. Il riferimento è al tentativo, fallito, di Bolloré di creare una grande compagnia assicurativa, formata appunto dall’unione tra Groupama e Fonsai, proprio in grado di fare concorrenza alle Generali. E’ vero che Bolloré è grande azionista di Mediobanca, a sua volta prima socia di Generali, ma non si capisce perché Nagel, e soprattutto Pellicioli, dovrebbero assecondarlo nel tentativo di impedire al gruppo triestino di crescere e quindi creare valore per gli azionisti. Non è chiaro, in particolare, perché mai i soci italiani dovrebbero dare tutto questo credito a Bolloré contribuendo a rendere il Leone una compagnia di serie B che non disturbi Axa. Se Generali cresce e fa soldi (le due cose non sempre sono collegate ma l’intenzione almeno dovrebbe essere quella), li fanno anche gli azionisti, compresi dunque Mediobanca e De Agostini.
…E LE SMENTITE DI RITO
Sta di fatto che nella conferenza stampa con gli analisti del 27 gennaio, dopo la lettera al cda, Greco ha gettato acqua sul fuoco: “L’indisponibilità a un altro mandato non è dipesa da alcuno specifico contrasto o conflitto con gli azionisti che, al contrario, in questi tre anni hanno sempre fornito pieno supporto alla strategia e alla sua esecuzione”. Ormai però la frittata era fatta e che con i soci ci sia stato qualche problema, se non vere e proprie tensioni, appare pacifico.
LA TRATTATIVA SUL RINNOVO
Ad avvalorare questa tesi, su Repubblica del 28 febbraio, è Pons, che scrive: “Al di là delle dichiarazioni di facciata, la ricostruzione degli eventi che hanno portato alla rottura è molto articolata. Il feeling tra capoazienda e soci comincia a incrinarsi nel maggio 2015, dopo la presentazione del nuovo piano industriale, quando Lorenzo Pellicioli (ad della De Agostini, azionista di Generali) e Greco cominciano a parlare di riconferma per un triennio e della necessità di individuare un successore abbastanza giovane da avere davanti a sé due mandati. Soluzione subito giudicata troppo difficile e così i due spostano l’orizzonte temporale a un doppio rinnovo, sei anni, durante il quale Greco avrebbe dovuto formare all’interno di Generali almeno due manager in grado di sostituirlo”. Secondo Pons, il pacchetto economico messo sul piatto da Pellicioli avrebbe consentito a Greco di portare a casa in sei anni l’astronomica cifra di 51 milioni. Se così fosse, andrebbe a cadere anche una delle motivazioni addotte per il passaggio di Greco a Zurich, e cioè che la compagnia svizzera lo paghi di più che alle Generali: 7-8 milioni contro i 3,5 di Trieste.
“Ma questo contratto non è mai stato formalizzato”, scrive Pons, che aggiunge che le trattative per il rinnovo del mandato sono proseguite fino al forum economico di Davos dei giorni scorsi, quando “succede qualcosa poiché da lì in poi Greco giudica quel contratto indiscutibile e martedì 26 gennaio, in mezz’ora, firma le carte per diventare numero uno di Zurich”.
Come si ipotizzava su Formiche.net del 27 gennaio, è possibile che Greco, dati se non i contrasti i problemi con i soci che hanno impedito la chiusura del contratto in tempi stretti, abbia deciso di cogliere al volo l’opportunità svizzera. Scrive a riguardo Laura Galvagni sul Sole 24 ore: “Plausibile immaginare, come segnala qualcuno, che il richiamo di Zurigo si sia fatto sempre più forte mentre si faceva più debole il legame con il Leone. Ma d’altra parte, non poteva essere altrimenti, la trattativa per il rinnovo del contratto è durata ben sette mesi. Troppo per non pensare, già a dicembre quando i rapporti si sono fatti più tesi e la quadra non era ancora stata trovata, che l’intesa non si sarebbe mai chiusa”.
I DUBBI CHE RESTANO
Resta il fatto che sull’uscita di Greco dal gruppo del Leone, che avviene a mandato in corso (sarebbe scaduto ad aprile), permangono tanti dubbi. Ne parla oggi sul Corriere della Sera Daniele Manca in un articolo dal titolo “L’uscita di Greco, le Generali e le domande su un addio incompreso“, in cui si legge: “Non accade tutti i giorni che il numero uno di una delle maggiori istituzioni finanziarie italiane lasci la sua posizione per andare a occupare analogo incarico in uno dei suoi concorrenti esteri”. “Un addio all’Italia; che il Paese merita?”, è la domanda retorica che Manca si pone alla fine dell’articolo che suona come una critica del quotidiano partecipato anche da Mediobanca all’ex capo azienda del Leone. Anche il giornalista di economia e finanza, e conduttore tv, Nicola Porro, nella sua rassegna stampa quotidiana su Facebook, si pone l’interrogativo se questa storia ci sia stata davvero raccontata davvero (dopo tutto le Generali sono quotate in Borsa). In particolare, si chiede Porro, cosa può spingere un manager a rifiutare un rinnovo contrattuale da 51 milioni in sei anni? “Le tensioni con i soci?”, azzarda il conduttore di Virus. E si torna sempre al punto di cui sopra.