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La diga di Mosul sta per crollare, dice il capo militare americano in Iraq

Il capo del Combined Joint Task Force  Operation Inherent Resolve, l’intervento americano “anti Isis” in Iraq, il generale Sean MacFarland, ha detto che la diga di Mosul è al limite della sopportazione, sta per cedere, e un evento catastrofico potrebbe colpire la vasta aerea a monte. La diga è stata costruita negli anni Ottanta, ha fianchi in terra, e il substrato che li ospita è costituito da materiali gessosi particolarmente solubili in acqua. Un rapporto redatto nel 2006 dall’US Army Corps of Engineers l’ha definita “la diga più pericolosa del mondo” per la propensione all’erosione: la rottura potrebbe mettere mezzo milione di abitanti di Mosul sott’acqua, secondo le stime.

Sembra che le forze della Coalizione abbiano già elaborato dei piani di emergenza per spostare le persone qualora una delle spalle dell’infrastruttura dovesse iniziare a cedere definitivamente, ma contattato telefonicamente dall’Assaciated Press, Riyadh Izeddin, il direttore generale della diga, ha detto che non era stato informato dagli americani su un qualsiasi piano di emergenza e nemmeno sulle rinnovate criticità.

Si tratta del quarto impianto più grande del Medio Oriente: qualche giorno fa la BBC ha prodotto un reportage dalla zona della diga, raccontando quanto la sua presenza sia un valore esistenziale per le popolazioni dell’intero nord iracheno: «Life is water» ha dichiarato al reporter Ahmed Maher un curdo che vive intorno all’invaso della diga.

I lavori di sistemazione strutturale dell’impianto, che consta anche di un importante centrale idroelettrica, dovrebbero essere assegnati alla ditta italiana Trevi di Cesena, secondo quanto dichiarato a dicembre dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nell’area potrebbe essere inviato anche un contingente militare italiano a protezione dei lavoratori nell’infrastruttura. La questione, lo scorso mese, aveva creato dibattito interno al governo iracheno, dove alcune componenti legate all’asse conservatore sciita avevano espresso parere contrario sia all’assegnazione dei lavori, sia soprattutto alla presenza di forze di sicurezza straniere sul posto. Anche per questo era diventato argomento politico in Italia, dove uno schieramento difendeva la necessità dell’invio dei soldati per difendere quello che veniva inquadrato come un interesse nazionale, dall’altro lato si sottolineavano le pericolosità della situazione, dato che lo Stato islamico ha a Mosul la sua roccaforte irachena.

Intervistata dal Corriere della Sera, la ministro italiana della Difesa Roberta Pinotti ha spiegato che «il governo [iracheno] ha dato la sua disponibilità. Ci sono tempi necessari per concretizzare le procedure. Gli iracheni hanno individuato nell’italiana Trevi la ditta in grado di fare questo lavoro, enorme e pieno di rischi. Non è stato ancora firmato il contratto. Abbiamo fatto un sopralluogo e il numero di 450 per garantire la sicurezza dei lavori nasce da questo. Tenga presente che il cantiere si troverà in territorio controllato dai curdi, ma a poca distanza dalle zone dominate da Daesh (l’acronimo arabo dello Stato islamico. ndr)». A proposito delle posizioni assunte dal governo iracheno, alla domanda del giornalista Paolo Valentino ha risposto: «Mi risulta che ci sia un dibattito aperto nella coalizione di governo, ma le voci che ci sono giunte sono di gradimento e ringraziamento».

Le dichiarazioni del generale americano potrebbero velocizzare la procedura di assegnazione definitiva dei lavori di sistemazione. Il 17 gennaio il premier iracheno ha incontrato una delegazione della ditta italiana.

 



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