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Libia, il problema delle milizie che controllano il petrolio

La Libia ha rinunciato a circa 68 miliardi di proventi di petrolio dal 2013. La stima è della Noc (National Oil Corporation), la società statale che controlla il greggio: si tratta di produzioni perse dopo che la guerra civile ha causato l’arresto operativo di impianti e porti; la produzione di petrolio è precipitata a 362 mila barili al giorno, cioè circa il 20 per cento di quella che era nel 2011.

Mustafa Sanalla, presidente della Noc, ha detto la Financial Times che la situazione economica del paese è «molto critica» e che le pessime relazioni tra Tripoli e Tobruk hanno paralizzato l’industria petrolifera (che è la principale entrate nell’economia libica). La drammaticità delle finanze, si riassume in un dato diffuso dal Fondo monetario internazionale: il disavanzo di bilancio registrato lo scorso anno dalla Libia è del 54 per cento del prodotto interno lordo, cioè uno dei più alti al mondo, spiega il FT. La situazione economica si sintetizza anche in un dato uscito ieri: il Corruption Index di Transparency International mette la Libia al 161esimo posto su 167 paesi valutati.

Il futuro forse è pure peggiore: l’Intelligence Unity dell’Economist, che si occupa di esplorare i mercati dei vari Paesi, ritiene che nel 2016 quella libica sarà l’economia con la maggiore contrazione al mondo, anche peggio della Siria ormai completamente dilaniata dalla guerra civile.

TRA I RESPONSABILI

Le responsabilità di quanto sta accadendo non sono solo della divisione tra i due governi, che hanno inquadrato nelle entrate petrolifere il principale obiettivo comune di divisione, ma anche della PFG, la Petroleum Facilities Guard. Secondo quanto dichiarato dal capo della Noc, circa 53 miliardi di entrate sono andati persi per colpa della milizia che controlla la maggior parte degli impianti.

Un esempio di queste responsabilità si lega ai fatti di cronaca degli ultimi giorni. Lo Stato islamico nella sua avanzata da Sirte verso le aree petrolifere orientali della Libia, si è posta come obiettivo di colpire i tank che contengono il greggio: è una strategia distruttiva, dovuta al fatto che i baghdadisti libici sanno perfettamente che per loro sfruttare il petrolio libico per fini commerciali come avviene in Siria è impossibile, e allora lo distruggono per creare problemi all’economia del paese. Sanalla racconta al giornale economico inglese che la Noc aveva inviato una petroliera a largo di Ras Lanuf per drenare il greggio da alcune cisterne, cosicché all’attacco degli uomini del Califfato si sarebbero trovate svuotate con il petrolio al sicuro, al largo. Una misura preventiva studiata dopo i primi giorni di attacchi dell’Isis alle cisterne, bloccata però dagli uomini del PFG che non hanno permesso alla petroliera di attraccare al porto e così in un’azione offensiva dell’Isis diverse cisterne piene di greggio sono andate in fumo.

LA PFG E IL SUO CAPO

La PFG è composta da circa 27 mila uomini, disposti in tutte le aree petrolifere libiche: è una realtà praticamente indipendente allineata con il governo di Tobruk e guidata da Ibrahim Jadhran, a cui l’ex governo centrale libico aveva affidato il compito di comandare una forza di polizia responsabile dei terminal petroliferi, ma che invece è diventato un signore della guerra muovendo la PFG sotto i propri voleri. La PFG doveva essere una garanzia bipartisan, ma nel tempo è diventata una dei punti fermi delle divisioni e un ostacolo per la pacificazione nazionale (ovviamente per interessi). Nel marzo del 2014 caricò di greggio la petroliera “Morning glory” nel tentativo di mettersi a commercializzare in proprio la risorsa: la nave sfondò un blocco di sicurezza, ma il 16 marzo del 2014 ne fu ripreso il controllo da un gruppo di Navy SEALs americani (già presenti in Libia), mossi per richiesta del governo libico; la vicenda costò l’esclusione dall’esecutivo del primo ministro Ali Zeidan, incolpato dai Fratelli Musulmani di non essere riuscito a fermare Jadhran. Poco dopo sarebbe arrivato lo split definitivo tra Tobruk e Tripoli.
La PFG è un altro di quei problemi che il futuro governo di concordia nazionale si troverà davanti; i suo combattenti invece sono un altro elemento di confusione e pericolosità per un eventuale intervento militare occidentale contro lo Stato islamico, perché sono una milizia imprevedibile che si muove secondo una propria agenda di interessi.


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