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La Francia, i profughi, la Libia, l’attivismo e il terrorismo

“Siamo consapevoli del rischio che il conflitto nel Levante (Siria e Iraq, ndr), dove stiamo iniziando a vedere alcuni risultati positivi, possa trasferirsi in Libia”, ha detto il ministro della Difesa francese, aggiungendo che una soluzione politica in Libia è “l’unico modo per sradicare” il problema. Ma a far saltare sulle sedie gli addetti alla sicurezza delle cancellerie europee, soprattutto quella italiana, è stata un’altra delle cose dette domenica da Jean-Yves Le Drian alla tv francese: c’è il “serio rischio” che tra i profughi che arrivano dal Nord Africa possano infiltrarsi uomini dello Stato islamico, soprattutto nei mesi prossimi, quando le condizioni meteorologiche saranno migliori e i rischi in mare minori.

Per Le Drian lo Stato islamico libico, che si trova a soli 350 chilometri dalle coste di Lampedusa, potrebbe utilizzare proprio l’arrivo nell’isola italiana per poi sfruttare l’infiltrazione e creare in Europa cellule operative (sia dal punto di vista degli attacchi che della predicazione/reclutamento). Scenari simili sono da mesi tirati in ballo e costruiti, e coinvolgono anche le cosiddette rotte balcaniche, dall’Albania alla Puglia (ricordarsi che dal porto di Bari è passato due volte Salah Abdeslam, il super ricercato tra i terroristi della strage di Parigi del 13 novembre); in Albania e in Kosovo si sta assistendo ad un forte attecchimento delle posizioni islamiste più radicali.

LE REAZIONI IN ITALIA

In Italia la notizia è stata ampiamente ripresa, in parte sfruttando la psicosi che genera interesse (e interessi), in parte perché considerata anche da settori della nostra intelligence una minaccia su cui tenere alta l’allerta. A Libero che titolava il 1 febbraio in prima pagina “L’Isis sbarca in Italia” (titolo fotocopia apriva lo stesso giorno il Giornale: “L’Isis sbarca a Lampedusa), rispondeva il sindaco di Lampedusa Giusy Nicolini, che si dichiarava “arrabbiatissima” per le parole usate dal ministro francese, perché di terroristi tra i migranti non ce ne sono, invitandolo a “venire a Lampedusa” per verificare di persona come l’attenzione alla sicurezza sia massima.

PAROLE GIÀ SENTITE

Il genere di dichiarazioni uscite dal ministro Le Drian, sono simili a quelle sentite mesi fa da parte di vari ministri del governo libico di Tobruk (lo pseudo esecutivo che gode però del riconoscimento internazionale). In quelle occasioni erano state bollate come propaganda, e in parte lo erano sicuramente: Tobruk cercava di utilizzare la leva immigrazione/terrorismo per veicolare l’interesse della comunità internazionale, che avrebbe così legittimato la campagna che l’esecutivo cirenaico stava compiendo (guidato dal generale freelance Khalifa Haftar) contro i nemici di Tripoli, inquadrati tutti come terroristi. L’obiettivo di Tobruk e di Haftar era quello di vedersi riaperta la possibilità di accedere alla fornitura di armi dall’estero, commercio invece messo sotto sanzioni (armi che poi però sarebbero finite per essere usate per la guerra civile, più probabilmente che contro l’Isis).

Sotto certi punti di vista, anche le parole di Le Drian possono avere dietro un secondo fine: la Francia spinge molto per un’azione in Libia, che inquadri tra gli obiettivi le postazioni dello Stato islamico, e che forse avrebbe come fine anche l’imprimere maggiore presenza e controllo francese in Libia ed inoltre evitare che l’espansione libica dell’Isis raggiunga i territori a sud, la fascia del Sahel dove i militari di Parigi sono impegnati in una missione di lungo corso. Aumentare con le dichiarazioni legate al traffico di migranti (toccando il grande tema europeo dell’immigrazione) la minaccia libica dello Stato islamico, potrebbe portare ad un’accelerazione nel tanto ventilato intervento militare occidentale nel paese.

PARIGI SPINGE PER INTERVENIRE IN LIBIA

Si fa un gran parlare dell’imminente avvio degli attacchi aerei sul paese, tanto che le fonti dei media libici iniziano a segnalare che gli uomini del Califfato non si vedono più con la frequenza precedente lungo le strade di Sirte e delle altre città controllate. Due settimane fa, nei quartieri di Laithi e Sabri di Bengasi, Libia orientale, dove una coalizione di milizie islamiste combatte il governo di Tobruk, che a sua volta in quelle aree trova anche la presenza ostile di un gruppo di miliziani baghdadisti, il Consiglio rivoluzionario (che è l’entità politica a cui si rifanno le milizie locali), ha ordinato di issare la bandiera nazionale libica sulla linea del fronte. Il forte significato politico, la bandiera è il simbolo della Libia unita, cioè della Libia che non vede divisioni regionali ma che si muove come un paese unitario sotto un unico governo, va bagnato dal realismo. Il senso del tricolore libico sulla linea dei combattimenti a Sabri, ha spiegato il Consiglio, è quello di farsi riconoscere, nel senso di individuare, cioè dire ai caccia e ai droni che sorvolano la zona quelli al di qua di questa linea non sono dello Stato islamico. È stata una scelta legittima, visto che quei raid aerei che i locali definiscono operati da “forze straniere”, e che secondo ricostruzioni ormai al limite del leggendario (visto che non trovano conferme ufficiali) sarebbero operati da caccia egiziani riforniti in volo da aerocisterne francesi, si stanno rapidamente avvicinando in una successione da ovest a est che segue l’avanzata dello Stato islamico: prima Sirte, poi Nofilia, poi Bin Jawad, Sidra e Ras Lanuf, ed è chiaro a tutti che i prossimi obiettivi potrebbero essere quelli inquadrati dai droni che volano su Bengasi, definiti dai locali “americani e francesi”. Martedì l’argomento è tornato di attualità, perché sui social network gli utenti libici hanno ricominciato a postare segnalazioni su sorvoli notturni.

I francesi sceglierebbero l’anonimato per non esporsi troppo, ma muoversi comunque d’anticipo su un intervento militare imminente: il clima che le fonti libiche raccontano, è quello di un Limbo, una sorta di interminabile attesa per qualcosa di sempre più vicino.

DICHIARAZIONI INCROCIATE 

Martedì, durante un incontro tra 23 Paesi che sostengono la campagna militare contro lo Stato islamico che si è tenuto a Roma, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius è tornato sul fatto, ribadendo che comunque nell’eventuale intervento in Libia l’Italia avrà un “ruolo centrale” e la Francia “sarà al suo fianco”. Dichiarazioni che accoppiate a quelle di Le Drian di due giorni prima dettano una linea. Ufficialmente Parigi vorrebbe aspettare l’invito formale ad intervenire del nuovo governo libico, ma il Figaro spiega che ci potrebbero essere due cose che innescherebbero l’azione unilaterale immediata: l’avanzata dell’Isis e un grande attacco in suolo europeo; Parigi le registra entrambe. Il giornale francese ha altre informazioni sulla strategia/interessi dell’Eliseo: sostegno al confinante Egitto e per la sicurezza alla Tunisia, eventuale dispiegamento di uomini dell’operazione Barkhane anche in Libia. Barkhane è un’importante missione contro il terrorismo islamista ormai endemico (ma di matrice qaedista) nell’Africa centrale e settentrionale, che i francesi portano avanti da diverso tempo; le Figaro fa anche una considerazione tecnica, valutando che l’azione in Libia sarebbe facile, visto che si svolgerebbe su un terreno geomorfologicamente favorevole, piatto e non “come le montagne del nord del Mali”. Il piano è già in piedi, pare.

UNA STORIA PARALLELA

Sembra, ma siamo nel campo del non ufficiale, che dieci giorni fa un commandos francese composto da una trentina di uomini delle forze speciali abbia assaltato un villaggio controllato dall’IS nei pressi di Mosul, nel nord dell’Iraq, chiamando il supporto aereo da parte di velivoli della Coalizione US led (probabile che a colpire siano stati gli aerei francesi).

L’attivismo di Parigi sembra spostarsi sui vari fronti della lotta all’Isis, poi però i dati dicono che sono ancora gli americani ad eseguire ancora la gran parte delle missioni.

Intervenendo durante la conferenza stampa della riunione congiunta che si è tenuta a Parigi due settimane fa per discutere le prossime mosse contro lo Stato islamico, il ministro della Difesa francese si era anche dichiarato pronto a schierare truppe speciali anche in Siria, da affiancare a quelle statunitensi già presenti.

 

 

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