Prima le arance egiziane, dopo l’olio tunisino, adesso i pomodori marocchini. Il made in italy agricolo è sotto scacco a seguito di decisioni maturate a Bruxelles con l’obiettivo di concedere sempre maggiori agevolazioni all’import di prodotti provenienti dal Nord Africa. Una politica di solidarietà – si pensi al caso dell’olio tunisino, con la Commissione che intende aiutare l’economia della Tunisia per i danni al settore del turismo derivanti dall’attentato di Sousse – ma che rischia di mettere in ginocchio la nostra agricoltura, in particolare quella meridionale.
Il casus belli è la decisione di qualche giorno fa della Commissione Commercio Internazionale del Parlamento europeo, che con un voto a larghissima maggioranza, 31 voti a favore (tra questi anche i parlamentari del Partito Democratico), sette contrari e una sola astensione, ha di fatto dato disco verde a 70 mila tonnellate di aumento delle importazioni privilegiate di olio d’oliva tunisino a dazio zero per il 2016 e 2017.
Dopo questa presa di posizione – che aspetta comunque il voto definitivo dell’assemblea plenaria di Strasburgo previsto per fine mese – si sono innescate furenti polemiche, con le denunce della Lega e del M5S ma anche con l’imbarazzo di diversi esponenti del Pd (l’europarlamentare Paolo De Castro e i deputati Colomba Mongiello e Dario Ginefra) per una decisione “sbagliata” che penalizza soprattutto le aziende italiane.
“C’è un’apertura incondizionata delle barriere dal punto di vista agricolo, senza una valutazione dell’impatto reale sui nostri sistemi, senza una pretesa di reciprocità, senza che gli accordi siano win win, cioè vincenti per entrambe le parti, sacrificando questi accordi in virtù di altri obiettivi politici ed economici”, spiega il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi. “L’olio tunisino è da sempre un prodotto agevolato dall’Unione europea ma il prezzo maggiore dell’esenzione dai dazi lo paga l’Italia che è il principale paese di sbocco. Non mi risulta che il prodotto tunisino venga esportato in Spagna”, dice a Formiche.net David Granieri presidente di Unaprol, l’associazione che riunisce oltre 200mila produttori olivicoli italiani, che aggiunge “l’Europa dimostra in questo modo più sensibilità per le esigenze dei paesi frontalieri del Mediterraneo che per il suo mercato interno. E non è la prima volta che Bruxelles privilegia la Tunisia, in danno di uno dei settori strategici dell’economia europea”.
L’apertura all’olio tunisino è venuta qualche giorno prima che un altro caso passasse quasi inosservato: gli effetti dell’accordo Ue-Marocco sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli. Ovvero quello di vedere raddoppiato a gennaio l’import dei pomodori da Rabat e Casablanca che hanno superando i contingenti di importazione fissati proprio dall’intesa tra i due paesi. Un accordo contestato dai produttori agricoli perché – spiegano dalla Coldiretti – nel paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa e perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera. Per questo l’associazione presieduta da Roberto Moncalvo ha chiesto che la “Commissione attivi urgentemente le clausole di salvaguardia previste dall’accordo, vista la grave perturbazione di mercato creata dall’eccessivo aumento delle importazioni, che rischia di mettere in ginocchio intere regioni come la Sicilia e la Puglia”.
Il nostro paese infatti produce oltre un milione di tonnellate di pomodoro in pieno campo ed in serra, con la Sicilia leader di settore. Con le importazioni è aumentato il rischio di frodi con il pomodoro marocchino venduto come italiano e le quotazioni al produttore agricolo crollate del 43,7% nella prima settimana di gennaio.
Ultimo caso ma non meno importante è quello delle arance egiziane che hanno registrato nel 2015 un’impennata record: 1,22 milioni di tonnellate esportate, di cui una larga fetta finita sulle tavole nel nostro paese. Una situazione pesante come spiega Gerardo Diana, presidente della Federazione Agrumicola di Confagricoltura: “6 centesimi è il prezzo per un kg di arance pagato in Sicilia, 21 è il prezzo medio che spero di riuscire a strappare a fine annata, mentre ne servirebbero almeno 26 per rendere remunerativo il prodotto”. Ecco perché i conti nelle tasche dei produttori non tornano.
Il governo italiano segue l’evoluzione degli scenari anche se una presa di posizione netta da parte del Ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ancora non vi è stata. Per adesso lo stesso ha messo in luce i buoni risultati ottenuti sul fronte dell’agropirateria, altro tema dolente che insieme alla questione dell’italian sounding, ovvero di quei prodtti che vengono spacciati per italiani ma che di italiano hanno ben poco, che è in continuo aumento: secondo Eurispes è cresciuto del 10% nell’ultimo anno ed ha raggiunto i 15,4 miliardi di euro.