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L’Italia, il Regno Unito e gli embrioni

La notizia ha ottenuto la prima pagina dei quotidiani: in Inghilterra è stata autorizzata la manipolazione genetica di embrioni umani al fine di studiare le prime fasi dello sviluppo e comprendere le basi molecolari di aborti nelle fasi iniziali della gestazione. Una decisione quella inglese che è stata discussa ampiamente sui giornali italiani per le sue implicazioni bioetiche, per i riflessi positivi che queste ricerche possono avere ma anche per le paure che suscitano in certi settori dell’opinione pubblica.

Non parlerò di degli aspetti scientifici che sono stati affrontati in modo esaustivo da moltissimi giornali coinvolgendo ricercatori molto più esperti di me in questo tipo di problematiche.

Vorrei qui discutere alcuni aspetti che segnano la differenza tra l’Inghilterra che ha autorizzato la ricerca e l’Italia che ne discute, spesso con timore. La differenza tra un sistema, quello Inglese, teso verso lo sviluppo ed un altro, quello Italiano, ripiegato su stesso e che cerca la sicurezza nel rifiuto dello progresso, della ricerca e della scienza. Non da oggi. Una posizione radicata nella società che ritarda la crescita del sistema Italia.

Il primo elemento di differenza è il reclutamento degli scienziati. Nel caso particolare, Kathy Niakan, la ricercatrice che ha chiesto e ottenuto il premesso di modificare il genoma di embrioni umani, laureata all’Università di Washington in “Biologia Cellulare e Molecolare” e in “Letteratura Inglese”, e che nel 2005 ha ottenuto il PhD all’Università della California, studiando biologia dello sviluppo e cellule staminali. Solo 8 anni dopo Niakan è diventata Group Leader all’MRC presso l’Institute for Medical Research a Londra poi confluito nel Francis Crick Institute. La prima grande differenza sta tutta qui: in Inghilterra 8 anni sono sufficienti per passare da PhD a group leader. Una cosa quasi inimmaginabile in Italia.

Il secondo elemento  di differenza è il Francis Crick Institute. Un consorzio di 6 delle più prestigiose organizzazioni scientifiche ed accademiche Britanniche: Medical Research Council (MRC), Cancer Research UK (CRUK), Wellcome Trust, UCL (University College London), Imperial College London e King’s College London. Come se in Italia a Milano nascesse un polo che comprende il CNR, l’Università di Milano, IFOM, DIBIT, Humanitas con la partecipazione diretta della Fondazione Cariplo. Una cosa che per altro il nascente Human Technopole, previsto nell’ex area EXPO, avrebbe la potenzialità di realizzare.

Il terzo elemento di differenza è lo Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), un’agenzia governativa indipendente che nel Regno Unito sovraintende all’impiego di gameti ed embrioni nella ricerca e che fornisce le licenze alle cliniche e ai centri specializzati di fecondazione assistita. Un’ente attivo dal 1990 e che ha già autorizzato i protocolli  per prevenire malattie mitocondriale.  Per chi volesse documentarsi sull’attività di questo ente consiglio vivamente di visitare il loro portale internet: http://www.hfea.gov.uk.

Nulla di equivalente esiste in Italia.

Il quarto ed ultimo grande elemento di differenza è il tempo richiesto per le autorizzazioni. Ci sono voluti poco più di 4 mesi a Kathy Niakan per ottenere il permesso per le sue ricerche. Pochi mesi per  prendere una decisione importante che fa dell’Inghilterra la prima nazione ad autorizzare  questo tipo di esperimenti (anche se dei ricercatori cinesi avevano annunciato qualche mese prima di aver già condotto esperimenti simili).

Insomma una serie di carenze strutturali (non di preparazione) ostacolano lo sviluppo del nostro paese. Affrontarle è quello che dovremmo chiedere ai nostri politici. Risolverle contribuirebbe anche a cambiare la mentalità italiana e la percezione della ricerca e della pratica medica presso l’opinione pubblica.

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