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Saipem, chi ha vinto e chi ha perso con l’aumento di capitale

Di Fernando Pineda e Francesco Fornaro
PIER CARLO PADOANCLAUDIO COSTAMAGNA CDPFABIO GALLIA CDP

Crollo senza fine per Saipem a Piazza Affari mentre l’11 febbraio si è concluso l’aumento di capitale da 3,5 miliardi che consentirà alla società di rendersi indipendente dall’Eni.

PROFONDO ROSSO A PIAZZA AFFARI

Ancora l’11 febbraio le azioni in Borsa sono affondate del 12% a 0,3185 euro, mentre nella mattinata del 12 i titoli sono nuovamente bersagliati dalle vendite e viaggiano sotto quota 0,30 euro. Eppure erano partiti a quota 0,52 euro il 25 gennaio, primo giorno della ricapitalizzazione, quando i diritti avevano avviato le negoziazioni a 3,67 per poi quasi azzerarsi scendendo a 0,23 euro venerdì 5 febbraio, che era stato l’ultimo giorno di negoziazione in Borsa delle opzioni. Con l’ennesimo crollo a Piazza Affari dell’11 e 12 febbraio, le azioni Saipem sono scese di slancio sotto quota 0,362 euro, cioè il prezzo di sottoscrizione dei nuovi titoli nell’ambito della ricapitalizzazione. Ma per potere sottoscrivere a quel prezzo bisognava essere già soci oppure comprare i diritti, che di certo nei primi giorni dell’aumento poco non costavano. Ogni opzione consentiva, infatti, di sottoscrivere 22 nuove azioni a 0,362 euro l’una. In pratica, chi desiderava diventare socio del gruppo operante nel settore dei servizi petroliferi bastava aspettasse la chiusura dell’aumento per comprare le azioni a un prezzo ancora più conveniente di quello già super scontato della ricapitalizzazione. Chi invece fosse già stato azionista avrebbe dovuto vendere i diritti subito per poi comprare direttamente le azioni sul mercato a prezzo stracciato l’11 o il 12 febbraio.

ADESIONI SOTTO IL 100%

Con le azioni e i diritti andati a picco, non può stupire che l’aumento di capitale non abbia registrato un pieno successo. Come annunciato la sera dell’11 febbraio dalla stessa società guidata da Stefano Cao, “durante il periodo di offerta in opzione, iniziato il 25 gennaio 2016 e conclusosi l’11 febbraio 2016, estremi inclusi, sono stati esercitati 385.871.894 diritti di opzione per la sottoscrizione di 8.489.181.668 azioni, pari all’87,8% del totale delle azioni offerte, per un controvalore complessivo pari a circa Euro 3,073 miliardi”. C’è inoltre da considerare che tra chi ha aderito all’operazione ci sono sia Eni sia il Fondo strategico italiano (Fsi) della Cassa depositi e prestiti (Cdp), con il loro 42,9% complessivo, ha ricordato ieri sera con un comunicato stampa la società. L’ingresso della Cdp presieduta da Claudio Costamagna e guidata dall’ad, Fabio Gallia, tramite Fsi, ha portato benefici immediati all’Eni, che ha incassato 463 milioniper la cessione del 12,5% e ha potuto deconsolidare Saipem dal bilancio. L’operazione comunque produrrà benefici anche a Saipem che ora può contare su un nuovo azionista stabile e di peso.

LA RETE DI SALVATAGGIO DEL CONSORZIO

Questo significa che oltre il 12% dell’aumento, pari a quasi 500 milioni di euro, non è stato sottoscritto. Si tratta del cosiddetto inoptato, che a questo punto sarà riofferto in Borsa dal 15 al 19 febbraio tramite Mediobanca. In ogni caso, se al termine di quest’ultimo passaggio dovessero residuare titoli non sottoscritti, scenderà in campo il consorzio di banche garante dell’aumento, ossia Goldman Sachs, Jp Morgan, Banca Imi, Citigroup, Deutsche Bank, Mediobanca, Unicredit, Hsbc, Bnp Paribas, Abn Amro e Dnb Markets.

I MOTIVI DELL’INSUCCESSO

A riassumere i motivi del flop della ricapitalizzazione di Saipem è, il 12 febbraio, Luca Pagni su Repubblica: “Un aumento super diluitivo, nel peggiore momento di mercato possibile, con il crollo delle Borse e con il prezzo del petrolio ai minimi degli ultimi tredici anni: date le premesse, non poteva finire diversamente”. Angela Zoppo su Mf scrive comunque che “considerando le condizioni nelle quali si è svolta l’operazione, il fatto che sia stato sottoscritto l’87,8% delle opzioni è un segnale che la società guidata da Stefano Cao ha interpretato in modo positivo alla luce della tempesta che è in atto sui mercati (non esattamente il massimo se si deve chiedere denaro agli investitori) e col petrolio ai minimi storici”.

NODO PETROLIO

Il principale problema con cui Saipem deve ora fare i conti è il crollo del greggio sotto quota 30 dollari al barile. Già nel prospetto informativo dell’aumento la società metteva in guardia che, se il greggio dovesse restare ai livelli attuali per altri tre o quattro mesi, Saipem potrebbe essere costretta a rivedere il piano triennale, che era stato elaborato su un valore del petrolio molto lontano dalle quotazioni odierne. Si prevedeva addirittura una super risalita del greggio da 55 dollari al barile nel 2016 fino a 80 dollari nel 2019. Con uno scenario di prezzo di 55 dollari per tutti gli anni di piano, avverte sempre il prospetto, la società chiuderebbe in perdita fino al 2019. Di conseguenza, andrebbe ancora peggio se il petrolio dovesse restare inchiodato sotto i 30 dollari, livello a cui staziona in questi giorni.

LE AGENZIE DI RATING

In questo contesto si sono cominciate a muovere anche le agenzie internazionali di rating. Il 5 febbraio si è saputo che Standard & Poor’s ha messo sotto revisione, con possibili implicazioni negative, il giudizio “BBB-” sulla società guidata da Cao. Alla base della decisione, proprio il declino dei prezzi del petrolio. S&P è stata ben presto seguita da Moody’s, che pure ha messo in revisione con implicazioni negative il proprio attuale giudizio provvisorio Baa3. “La stessa Moody’s – si legge su Mf – spiega che la sua decisione segue quella adottata da Standard & Poor’s il 4 febbraio scorso, e si fonda sostanzialmente sulle stesse considerazioni: il recente ulteriore indebolimento dei fondamentali dell’industria del petrolio e del gas, il conseguente rischio di cancellazioni o di ritardi di progetti e la riduzione degli investimenti da parte delle compagnie petrolifere, il deterioramento dello scenario dei prezzi del petrolio rispetto a ottobre 2015, e quindi il potenziale impatto del peggiorato contesto sulla capacità futura di Saipem di generare cassa in linea con le ipotesi del piano strategico”.

IL PROBLEMA DEL DEBITO 

La spada di Damocle delle agenzie di rating pesa come un macigno su Saipem, perché rischia di farne lievitare i costi di finanziamento ora che con la ricapitalizzazione sta spostando il debito dalla controllante Eni alle banche. Va infatti ricordato che i 3,5 miliardi in arrivo con l’aumento andranno tutti nelle casse di Eni, a cui a valle dell’operazione andranno ulteriori 3,2 miliardi in arrivo dal finanziamento delle banche da complessivi 4,7 miliardi.

I CONTI DEL GIORNALE

Ha scritto oggi Marcello Zacchè sul Giornale, facendo un po’ di conti sull’aumento di capitale: “La Cassa depositi e prestiti spende 463 milioni per il 12,5% e 437 milioni per sottoscrivere l’aumento di capitale. Il totale fa 900 milioni. Per una quota che ieri sera valeva in Borsa 450. Saldo: -450.Lo stesso calcolo, fatto sugli effetti sul «valore d’impresa» teorico di Saipem, produce risultati analoghi: per Eni c’è creazione di circa 1,3 miliardi; per gli azionisti comuni distruzione di circa 3 miliardi; per Cdp -200 milioni.Ricapitolando: l’operazione Saipem, studiata dal governo per aiutare Eni, è andata in porto grazie a un aumento di capitale che ha distrutto il valore esistente ai danni di azionisti di minoranza e risparmio postale. Certo, questo esito potrà essere ribaltato nel tempo”.



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