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Tutti i dettagli del cessate il fuoco temporaneo in Siria

Russia e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo di massima per un cessate il fuoco temporaneo in Siria, che permetterà l’arrivo dei convogli umanitari diretti soprattutto verso Aleppo, dove la campagna del regime sostenuta da russi, milizie sciite, Hezbollah e iraniani, ha prodotto un situazione critica sia per chi fugge sia per chi è restato in città. Dal fronte, intanto, arrivano notizie contrastanti: pare che si continui a combattere.

L’ACCORDO

Sei ore di seduta ininterrotta, fino alle una di notte (ora di Monaco di Baviera, dove s’è tenuto l’incontro), tra il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che alla fine hanno trovato un’intesa che permetterà l’ingresso degli aiuti subito e la cessazione delle attività militari ”fra una settimana”. Non c’è una data ufficiale, ma il Washington Post ha informazioni in merito al fatto che il cessate il fuoco vero e proprio non sarà immediato, e dunque, sostengono i critici, la Russia avrà una finestra temporale per proseguire l’avanzata. Intanto fonti locali raccontano che anche stamattina si combatte: nella zona di Tal Rifaat i governativi, supportati dai caccia russi, stanno cercando di chiudere completamente l’assedio ad Aleppo dall’area settentrionale, mentre a Ayn Daqnah (qualche decina di chilometri più a nord) i miliziani curdi dell’Ypg si sono lanciati all’offensiva contro i ribelli del Levant Front (raggruppamento di fazioni moderate e salafiti) dopo aver preso il controllo della base aerea di Menagh, anche in questo caso protetti dall’appoggio aereo russo (sembra che ancora più a nord, nella zona di Azaz, controllata da ribelli amici della Turchia, sotto le bombe russe sia finito anche un ospedale).

ASPETTI CRITICI 

“Siamo stati tutti d’accordo, ora aspettiamo per i prossimi giorni le azioni sul campo” ha commentato Kerry a proposito dell’intesa raggiunta a Monaco, e a giudicare dalle notizie che arrivano, bisognerà aspettare propri i prossimi giorni. Nel fine settimana partiranno due task force composte da uomini delle 17 nazioni (membri del finora non proprio attivissimo International Syria Support Group, ISSG) che hanno partecipato ai colloqui di Monaco: una, guidata dai russi, si occuperà di paracadutare aiuti in sette aree difficilmente raggiungibili da terra, un’altra guiderà un convoglio terrestre che dovrebbe passare indisturbato tra le linee lealiste e ribelli.

Gli analisti hanno accolto la pace temporanea con molto scetticismo perché la carta dell’intesa mantiene grossi buchi. Un esempio: le attività militari non saranno sospese nei confronti dello Stato islamico e della qaedista Jabhat al Nusra (entrambe considerate univocamente entità terroristiche), ma mentre l’Isis ha una fetta di territorio ampio e ben definito, al Nusra è presenta in molte delle aree controllate dai ribelli, spesso in promiscuità con fazioni moderate, che usano l’amara convivenza con un fine pragmatico: la forza in combattimento. Colpire al Nusra, secondo alcuni degli osservatori più critici, significa mantenere intatta la possibilità per la Russia di attaccare le altre fazioni più moderate usando la filiale di al Qaeda come scusa.

RELAZIONI USA-RUSSIA

Nelle dichiarazioni ufficiali che hanno accompagnato l’accordo, Lavrov non ha perso occasione di sottolineare come adesso Washington si pone in termini più collaborativi perché “ha deciso di trattare con noi”. Dall’altra parte Kerry ha sottolineato che la linea americana non cambia, e vede (come ricordato ultimamente dal presidente Barack Obama) la necessità di trovare una via politica e allontanare Assad, ribaltando le parole di Lavrov e sostenendo che sono “loro” (i russi) adesso a collaborare con gli americani. La linea collaborativa di Mosca, è ovvio che nasconda dietro un interesse, non a caso arriva nel momento del massimo impegno militare, con cui hanno permesso ad Assad di riconquistare il maggior territorio possibile e sostenibile: diversi analisti sostengono che con il dispiegamento militare presente in Siria, la Russia non può fare molto più di quello che ha fatto già, e forse il cessate il fuoco rappresenta anche una pausa, un modo per riprendere fiato.

Quando Kerry torna sulla questione Assad, lasciata ultimamente ai margini, bisogna anche tenere a mente le dichiarazioni del dimissionario ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, che ha accusato direttamente il rais siriano di essere “responsabile di 260 mila morti” e la Casa Bianca di non fare abbastanza per fermare la guerra e contrastare la Russia. Inoltre, non vanno sottovalutate le pressioni su Washington degli alleati europei, preoccupati che l’escalation sul campo si traduca con una nuova ondata migratoria e le posizioni sempre più interventiste di molti partner arabi.

I PROXY

Altra questione: i due principali firmatari, e le altre nazioni che hanno aderito, saranno in grado di persuadere i propri procuratori (le forze di Bashar al Assad da un lato, e le fazioni ribelli sponsorizzate dall’altro) che combattono in mezzo alla Siria? È una domanda che parte già con una risposta negativa, visto che poco prima che l’accordo di cessate il fuoco venisse chiuso, l’Arabia Saudita, che controlla insieme alla Turchia molte fazioni più o meno moderate tra i ribelli siriani, ha definito “final” la decisione di inviare soldati in Siria. “Il regno è pronto a partecipare ad attività terrestre (contro Isis) se la coalizione accettarà di svolgerle in Siria”, ha detto il portavoce militare saudita, il generale di brigata Ahmed al-Asiri, durante un’intervista al telegiornale di Al Arabiya. Il Guardian cita delle proprie fonti a Riad, che hanno raccontato di un piano già pronto per spostare in Siria migliaia di reparti speciali, che potrebbero muoversi in coordinamento con soldati turchi.

L’invio di soldati sauditi (e turchi, a questo punto) sarà discusso della coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita, quella che è stata definita la “Nato islamica”, in un vertice programmato entro la fine di marzo. Si tratta di uno degli scenari più complicati sul panorama siriano. Molti analisti ritengono che l’invio di questi contingenti trasformerebbe il conflitto proxy tra sauditi ed iraniani (anti/pro Assad) in una guerra aperta. Se dovessero esserci anche soldati turchi, inoltre, ci sarebbe il rischio di una risposta russa, e dell’innescarsi di dinamiche di alleanza, visto che la Turchia è anche membro Nato.

LA SPERANZA

Pietro Batacchi, direttore della rivista Rivista Italiana Difesa, ha lanciato una provocazione dal suo profilo Facebook: “Sdoganiamo il termine: guerra mondiale siriana”. Sembra un ossimoro (se è siriana non può essere mondiale) ma raccoglie bene il senso della situazione: attori che sfruttano il campo di battaglia siriano come proxy per sostenere interessi personali e lotte geopolitiche di scala molto più ampia. È sempre stato così in Siria, ma probabilmente siamo arrivati al massimo livello di saturazione, per questo il cessate il fuoco viene accolto anche come una speranza.

“C’era un senso di sconforto palpabile” durante la riunione, ha scritto Max Fisher di Vox, tuttavia si tratta di un passo avanti, che potrebbe portare sollievo umanitario a situazioni ormai insostenibili: “It is not peace and it is not justice, but it’s something”. L’accordo dovrebbe fare da apripista al nuovo round dei colloqui, che l’inviato Onu Staffan de Mistura aveva messo in programma per giovedì 25 febbraio.

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