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Petrolio, tutti gli effetti della mossa dell’Iran

Il vice ministro del Petrolio iraniano ha annunciato sabato che entro 24 ore Teheran immetterà nel mercato europeo 4 milioni di barili di greggio.

Bloomberg scrive che due milioni saranno presi dalla francese Total, i restanti spartiti tra compagnie russe e spagnole. L’ingresso delle navi cisterna con il petrolio iraniano in Europa comporterà presumibilmente un’ulteriore diminuzione dei prezzi, già lanciati al ribasso; qualche giorno fa proprio la Bloomberg proponeva dei calcoli significativi: un esempio, un barile è composto da 160 litri, dunque se il prezzo è di 26 dollari al barile (quello del giorno della pubblicazione dell’articolo, ora leggermente rialzato a 29), allora significa che un litro di greggio costa 0,1625 dollari, praticamente il petrolio costa meno dell’acqua naturale.

I PROGETTI IRANIANI

Entro l’inizio del nuovo anno persiano, ossia il 20 marzo, Teheran prevede di aumentare le esportazioni ad 1,5 milioni di barili al giorno (ora sono ferme a 1,3 milioni), ha spiegato il vice presidente iraniano Eshaq Jahangiri all’agenzia di stampa Shana. Il vice di Hassan Rouhani ha fissato a due milioni l’obiettivo da raggiungere per l’export già nella prossima primavera.

L’aumento delle esportazioni di greggio è l’immediata conseguenza della riqualificazione diplomatica: in settimana il ministro del Petrolio iraniano Bijan Zangeneh aveva annunciato di essere disposto ad aprire un dialogo con l’Arabia Saudita e con gli altri membri dell’Opec; nell’estate del 2014 alcuni paesi dell’Opec avevano deciso di invadere il mercato con un tetto di 30 milioni di barili di produzione, innescando il calo dei prezzi. L’Iran vorrebbe negoziare con i sauditi la questione della sovrabbondanza delle produzioni con l’obiettivo di evitare le oscillazioni al ribasso. Il rafforzamento del prezzo permetterebbe a Teheran di godere a pieno degli introiti derivanti dal settore, finalmente sollevato da anni di sanzioni occidentali.

Secondo quanto commentato con Al Jazeera da Patrick Clawson, direttore del comitato di ricerca del Washington Institute for Near East Policy, la “volontà iraniana di dialogare con i sauditi”, anche in un momento di particolare divisione tra i due Paesi riferimento della confessione sciita e sunniai, “è il segno di quanto il calo del prezzo del greggio sta mettendo in difficoltà” Teheran. Inoltre, mentre i sauditi possono contare in oltre 600 miliardi di valuta estera, spiega Clawson che l’Iran “non ha riserve su cui fare affidamento nel momento di stagnazione (al ribasso) dei prezzi”.

IL DIALOGO E I LATI CRITICI

Giovedì, Suhail bin Mohammed al-Mazroui, ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti, ha apparentemente risposto positivamente all’invito di Teheran: citato dal Wall Street Journal ha dichiarato che i membri dell’Opec sono pronti a collaborare su un taglio di produzione. Per comprendere l’importanza di questo genere di dichiarazioni, basta pensare che il giorno successivo, il prezzo del petrolio è salito in Asia di oltre il cinque per cento.

I paesi del Golfo, sunniti, hanno creato una sorta di cartello interno all’Opec con cui hanno acquisito l’arbitrarietà sui processi decisionali e per questo serve di creare contatti con loro. Una delle grandi difficoltà dietro al possibile dialogo, è la posizione contrastante sul conflitto siriano: se infatti Teheran ha inviato forze, consulenti militari e armamenti, in appoggio a Damasco, ultimamente protagonisti dell’avanzata su Aleppo del regime (con il sostegno aereo russo), sauditi e emirati hanno sempre sostenuto le opposizioni (anche alcune dalle posizione radicali) e ultimamente hanno annunciato la possibilità di un invio di un contingente di terra in Siria per combattere lo Stato islamico.


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