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Il Corriere della Sera, Monti, l’ossessione per il debito e la religione sbagliata

L’esperienza dovrebbe indurre l’Europa a rinunziare all’ossessione per il debito pubblico. Invece si continua: ci si propone di penalizzare le banche che comprino titoli degli Stati più indebitati. Non è una filosofia. E’ una religione. Solo che si è dimostrata una religione sbagliata”.

Ci voleva un europeista senza paraocchi come Giorgio La Malfa, economista ed ex ministro, a parlare chiaro e senza fronzoli (come ha fatto oggi in una lettera al quotidiano La Stampa) su una materia che finalmente sta emergendo dalla coltre di fuffa su flessibilità e austerità che caratterizza il dibattito.

Perché non è (o non è solo) sui decimali dei rapporti fra deficit/pil, o sulla flessibilità della finanza pubblica legata ai costi sostenuti per i migranti (chi paga?, i singoli Stati più esposti?), che si gioca una delle partite decisive che si stanno organizzando a Bruxelles, anzi nel comitato di Basilea. E questo significa, come ha fatto notare oggi Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, che i veti dell’Italia annunciati dal premier Matteo Renzi in Senato sono parole al vento: “Renzi ha detto di essere pronto a mettere il veto su queste modifiche. Peccato che non passeranno dal Consiglio europeo, dove serve l’unanimità, ma soltanto da un comitato tecnico a Basilea”.

Ma come sovente accade le decisioni più tecniche sono quelle anche dai più alti effetti “politici”, ovvero sistemici.

Ce lo ricorda un ponderoso report di Mediobanca Securities. Gli analisti capitanati da Antonio Guglielmi hanno stimato l’impatto di un tetto del 25% alla quota di titoli di Stato che una banca può avere rispetto al complesso degli asset in portafoglio. Ebbene, se sarà questo – come pare al momento – il limite previsto dal comitato di Basilea finiranno sul mercato 300 miliardi di euro di titoli che potrebbero determinare una mancanza di capitale da 67 miliardi. Per gli analisti questo significa di fatto che le banche italiane – considerati i rischi valutati dal mercato sui titoli in questione – avrebbero bisogno di ricapitalizzazioni pari a 5,7 miliardi di euro.

E quale sarebbe l’effetto indiretto sui titoli di Stato emessi dai Paesi periferici del Sud? Calerebbe la domanda, dunque salirebbe il prezzo. La morale di tutta questa operazione è così descritta da Stefano Feltri: “L’effetto Draghi verrebbe neutralizzato, i rendimenti dei titoli del debito pubblico salirebbero”. Per questo la manovra di ispirazione teutonica sui titoli di Stato in pancia alle banche azzopperebbe anche l’azione calmieratrice della Bce di Draghi.

Ma qual è l’impostazione di Berlino? Perché si incaponisce su questo aspetto? A spiegarlo, e quasi a giustificarlo, è il Corriere della Sera. Scrive Federico Fubini: “La Germania non sosterrà mai un sistema europeo di garanzie sui depositi bancari, finché le banche stesse saranno così esposte sul debito dei rispettivi governi. Per Berlino ridurre gli investimenti degli istituti in titoli di Stati molto indebitati è essenziale, prima di impegnare denaro dei contribuenti tedeschi a garanzia di una crisi bancaria in Italia, Grecia o in Francia. Quando Renzi respinge la richiesta tedesca, di fatto dunque rinuncia proprio a ciò che fino a ieri lui stesso chiedeva con più urgenza: una garanzia europea sui depositi, in modo da scongiurare il rischio di una corsa generalizzata dei risparmiatori agli sportelli non appena una banca finisce in dissesto“.

Dunque l’Italia, ovvero il governo Renzi, è autolesionista? Qui il Corriere della Sera sembra davvero molto montiano, anzi ipermontiano. Si direbbe quasi merkeliano. Leggiamo: “L’idea tedesca di tagliare il cordone ombelicale fra banche e governi ha dunque una sua logica. (…) L’Italia di oggi non è fragile come la Grecia cinque anni fa, ma questo legame a doppio filo fra banche e debito pubblico non è normale, né tradizionale. Fino al 2008 l’esposizione degli istituti italiani in titoli di Stato era appena un quarto rispetto a oggi”.

Ma non si diceva fino a poco tempo fa in Italia, non solo da parte di istituzioni politiche e monetarie, non solo in Parlamento, ma anche negli editoriali e nelle analisi di giornali e giornaloni, che il fatto di avere una bella percentuale di titoli di Stato italiani in Italia, nei portafogli di cittadini e banche, era un fattore di solidità e di sicurezza nazionale? Non eravamo così meno esposti alle temperie della speculazione?

Ce lo siamo sognati?

Oppure, come scrive La Malfa, l’ossessione per il debito pubblico si basa su una religione sbagliata?



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