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Cosa succederà in Libia (e cosa farà l’Italia)

Quali nuove dalla Libia? Tante, oppure nessuna: in una situazione cosi fluida, ogni giudizio dipende infatti dalla visuale dell’osservatore, e dai parametri usati dall’analista. In effetti, quelle che in prima lettura sembrerebbero delle novità, in realtà non lo sono. Si trappa di sviluppi che seguono un copione ampiamente previsto. O, comunque, ampiamente prevedibile.

Potrebbe sorprendere, ma vale anche per l’attacco nei dintorni di Sabratha degli F-15 E dell’Usaf, partito da una base della fedele Gran Bretagna e già commentato ieri da Formiche.net. Di nuovo c’è solo che questa volta l’attacco mirato è stato fatto con due cacciabombardieri invece che con i droni. E’ un segno evidente che l’attività intelligence che gli alleati stanno da tempo conducendo sul territorio in terra e dal cielo (ma anche dal mare) sta cominciando a dare frutti attendibili e il bersaglio era di interesse rilevante.

Interessante la collaborazione ex-post della municipalità locale, evidentemente contenta di vedere che qualcuno sta cercando di far sloggiare alcuni ospiti non graditi. E’ un buon segnale anche questo, che sta a significare il vero stato d’animo dei comuni cittadini. Che, anche in Libia, evidentemente sono migliori dei politici che dicono di rappresentarli.

Al momento, quindi, la iattura di una fuga in avanti dei tre attori più scalpitanti sembrerebbe scongiurata, ma vi è anche piena consapevolezza che, se l’accordo interno tarda, qualcuno si potrebbe stancare e passare all’azione. Ma solo contro l’Isis. E’ più che evidente, ora, che si stanno svolgendo due agende parallele, che tuttavia interferiscono e ritardano il processo: una interna, e l’altra internazionale. Quella interna è condotta esclusivamente da attori libici, quella internazionale dall’Onu, sotto la pressione del “magnifici tre” sopra menzionati, con l’Italia che osserva e si muove con apprensione, per comprendere quale sarà effettivamente il ruolo per il quale, a dir il vero un po’ al buio, si è da tempo autocandidata.

Le due agende hanno finalità, ma forse è meglio dire priorità, tra loro diverse. La prima tende a risolvere il rebus del nuovo governo, che il Consiglio di presidenza ha già predisposto in formato ridotto (13 ministri e 5 sottosegretari di Stato) e sottoposto al parlamento di Tobruk. L’esito lo sapremo nei prossimi giorni, sempre che si venga a capo del cosiddetto “nodo Haftar”. la seconda è premuta dall’urgenza di lanciare una grande operazione di Peace-keeping (quella che dovrebbe essere affidata al coordinamento del nostro Paese), dare nel contempo (o magari prima) un forte incremento alla lotta all’Isis e nel contempo, contenere il flusso dei migranti verso la Festung Europa (detto alla Merkel, ma per noi Fortezza Europa). Un compito immane che, a mio modestissimoto avviso, avrà dei tempi di sviluppo tipo Afghanistan.

Il cliché dell’Onu, purtroppo, sembra essere sempre lo stesso, ritenuto buono per ogni situazione. Speriamo, almeno, che anche il risultato non sia sempre lo stesso. E l’Italia? Trepidamente attende, sapendo che, comunque vada, prima o poi dovrà assumere quel ruolo di responsabilità per cui si è proposta. Certamente, i nostri militari avranno già predisposto un certo numero di moduli di intervento, buoni per ogni evenienza: il loro compito è quello di essere sempre pronti, pianificare e presentare ai responsabili politici opzioni fattibili e supportabili con le nostre risorse.

Di questo indispensabile processo la convocazione del Consiglio Supremo di Difesa per il 25 febbraio potrebbe essere il primo passo.


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