“Come era bella questa utopia”, era il titolo di un libro-saggio sul comunismo uscito in Francia nel 2000, poco più di dieci anni dopo la caduta del muro di Berlino che sotterrò un sistema e l’ideologia su cui si basava. Autore era Jacques Rossi, uno che della materia si intendeva: polacco di origine (vero nome Franz Xaver Heyman), membro del Pc del suo Paese, poliglotta, amico di Trotsky, fu interprete di Stalin, che però lo fece arrestare e lo spedì in un gulag, dove rimase fino alla morte del dittatore. Della sua vita da compagno, del regime che lo imprigionò assieme a milioni di altri, parla con raccapriccio, orrore, angoscia. Però, però… ad anni di distanza, pensa che non tutto (anche se quasi tutto) fosse follia, non tutto un tremendo incubo. Nel ricordo, qualcosa di non satanico si può trovare nella spinta originaria di quel movimento che portò (o così disse) alla dittatura del proletariato.
Un’idea vagamente simile si trova in quello che ha appena fatto Lodovico Festa, classe 1947, veneziano di nascita, ma milanesissimo, autore di “La provvidenza rossa”, appena uscito edito da Sellerio. Festa non ha mai conosciuto Stalin, non è mai finito in un gulag, ma l’universo che metteva l’orologio sull’ora di Mosca lo ha conosciuto comunque molto bene: è stato dirigente del Pci milanese per anni, fino allo scioglimento del partito deciso alla Bolognina nel novembre 1989 e attuato nel febbraio 1991. Dopo, il suo percorso intellettuale e politico ha preso una direzione opposta: basta dire che è stato fra i fondatori del Foglio di Giuliano Ferrara.
Per Festa, più che qualcosa da salvare, c’è da capire perché era scattato e come funzionava quel meccanismo fideistico che portava centinaia di migliaia di persone a inquadrarsi, volontariamente, in un’organizzazione militare quali erano i partiti comunisti, accettandone regole da caserma, stili di vita da eserciti in grandi manovre. Per venire al concreto, è quanto facevano in Italia oltre 1 milione 800 mila persone nel 1977, vale a dire gli iscritti al Pci, quell’anno al suo apogeo nel tesseramento.
E proprio nel 1977 si ambienta “La provvidenza rossa”, un’operazione di archeologia politica sotto forma di giallo. La trama è semplice: una fioraia iscritta al Pci viene trovata morta a Milano, zona Sempione, uccisa da una raffica di mitra. Polizia e magistratura, ovviamente, aprono un’inchiesta. Ma un’altra se ne avvia, voluta dalla segreteria del partito. Ed è questa seconda indagine parallela che si segue nelle oltre 500 pagine del libro. Un alto dirigente, investito del ruolo di commissario, interroga. Cerca la verità, un colpevole e soprattutto il movente (politico?) del delitto. E indagando, lui e i vertici del partito che lo muovono riescono a scoprire quello che altrimenti non saprebbero di compagni e compagne, delle loro vite private e pubbliche.
Nascosti da pseudonimi non difficilmente decriptabili, si riconoscono protagonisti e comparse di quegli anni. Alcuni in scena ancora oggi.