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Che cosa ha deciso la Corte costituzionale sulle adozioni gay

La Corte Costituzionale non è la sede giusta per decidere se Eleonora Beck (54 anni), italo americana, e sua moglie, Liz Joffe (49), americana, regolarmente sposate negli Usa e madri di due bambini, una femmina e un maschio, nati per inseminazione artificiale, possano ottenere lo stesso diritto di maternità anche in Italia. La Consulta ha infatti dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale per i minorenni di Bologna, che era stato chiamato a riconoscere in Italia la sentenza con cui, nel 2004, negli Stati Uniti, era stata disposta l’adozione del figlio biologico di una delle due donne da parte dell’altra.

La storia è quella di Eleonora e Liz, sposate in Oregon, ognuna madre biologica di un bambino. Entrambe, però, negli Usa hanno potuto adottare il figlio dell’altra grazia alla stepchild adoption, formando così una famiglia di quattro persone. Ma arrivate in Italia, dove volevano trasferirsi, hanno constatato che per la legge italiana la loro famiglia non esisteva più. Così Nora si è rivolta al tribunale di Bologna per chiedere che lo Stato riconoscesse i suoi figli. Nel 2013 i magistrati hanno ritenuto che non fosse possibile, rimandando però la palla alla Consulta e facendone una questione di legittimità costituzionale. Il fatto che la Corte abbia rigettato il ricorso non significa però che ora il tribunale di Bologna non possa esprimersi lo stesso sulla vicenda.

In questi anni, infatti, diverse sono state le sentenze dei tribunali italiani in favore della stepchild adoption. Mentre oggi la politica, con lo stralcio dell’articolo 5 al ddl Cirinnà, ha deciso di rimandare la questione adozioni gay a una legge ad hoc sulle adozioni.

Il primo caso italiano avviene a Brescia nel 2013, quando la Corte di Cassazione rigetta il ricorso di un padre contro l’affidamento in esclusiva del figlio alla madre, convivente con una donna. L’uomo si lamentava delle “ripercussioni negative” che potrebbe avere il bambino “privato del diritto di crescere in una famiglia naturale fondata sul matrimonio”. La coppia è divorziata: lui, di religione musulmana, non accetta che il figlio viva con la madre, ex tossicodipendente, e la sua nuova convivente, un’educatrice conosciuta in comunità di recupero, con il quale l’ex marito aveva anche avuto comportamenti violenti. La Cassazione, però, gli dà torto, motivando così: “Non ci sono certezze scientifiche che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”.

Altro caso che ha fatto scuola è quello avvenuto a Roma nel luglio 2014 con l’assenso all’adozione di una bambina da parte della compagna della madre, bimba avuta con la fecondazione assistita in Spagna. Il classico caso di stepchild adoption. Le mamme sono due libere professioniste appartenenti alla media borghesia. “Per noi è una grande vittoria, speriamo che questa sentenza possa aiutare anche le altre coppie nella nostra situazione. E chi lo fa deve uscire allo scoperto”, hanno detto appena appresa la notizia.

Caso analogo, ancora a Roma, nell’ottobre del 2015, con l’adozione di una bimba da parte della compagna della madre, bambina concepita in Belgio con la fecondazione assistita. Le due donne, sposate all’estero, hanno avuto una figlia nell’ambito del “progetto di genitorialità condivisa”. Secondo la sentenza, “non è il genere dei genitori a garantire di per sé lo sviluppo migliore per i bambini, bensì la capacità di assumere questi ruoli e la responsabilità educative che ne derivano”.

Casi così ormai in Italia sono sempre più numerosi. E le sentenze non sono il frutto del caso, ma fanno leva sulla legge 184 che, nell’articolo 44, permette di adottare il figlio del coniuge. I giudici non hanno fatto altro che estendere questo diritto alle coppie di fatto, giocando d’anticipo sul legislatore. Uno dei casi in cui i tribunali mettono una pezza davanti al vuoto legislativo.
Uno degli ultimi casi arriva da Milano dove, nel dicembre 2015, il tribunale ha consentito l’adozione di una ragazzina di 12 anni da parte della compagna della madre biologica. Le due donne si erano sposate in Spagna, dove hanno convissuto per anni alle Canarie con la figlia nata da fecondazione eterologa. Poi le due donne hanno divorziato e, tornate in Italia, la madre adottante ha chiesto di aver riconosciuto il suo ruolo genitoriale. E i giudici le hanno dato ragione, scrivendo che “la bambina è stata adeguatamente amata, curata, mantenuta, educata e istruita da entrambe le donne”.

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