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Wikileaks, Berlusconi e gli Usa. Parla Teodori

Dalle nuove indiscrezioni che Wikileaks ha pubblicato assieme all’Espresso e a Repubblica, emerge un’attività di monitoraggio e intercettazioni ai danni dell’allora premier Silvio Berlusconi e del suo entourage e un ultimatum posto all’esecutivo dagli allora capi di Stato di Germania e Francia, Angela Merkel (ancora in carica) e Nicolas Sarkozy. Eventi che alcuni osservatori hanno messo in connessione con la caduta dell’esecutivo di Berlusconi nel 2011.

A non credere a queste ipotesi è invece il professor Massimo Teodori, storico, scrittore e componente del board del Centro Studi Americani di Roma, che in una conversazione con Formiche.net spiega quali sono, a suo parere, gli elementi davvero rilevanti della vicenda.

Professore, i cablo rilasciati da Wikileaks hanno alzato un polverone politico. I capigruppo di Forza Italia al Senato e alla Camera, Paolo Romani e Renato Brunetta, hanno chiesto e ottenuto un incontro urgente col sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti; la Farnesina ha convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Italia, John Phillips, per chiedere chiarimenti in merito; il ministro per i Rapporti col Parlamento, Maria Elena Boschi, riferendo alla Camera ha definito “inaccettabili”, se confermate, le intercettazioni degli Usa, auspicando spiegazioni; e lo stesso premier Renzi ha spiegato che la Penisola chiederà “informazioni in tutte le sedi, anche con passi formali, sulla vicenda di Berlusconi”. Questo clamore è giustificato?

Nell’attuale polemica, a me pare che si debbano distinguere due aspetti. Il primo è lo spionaggio dell’unità speciale della National Security Agency ai danni di uomini di governo italiani che è stata (ed è ?) una pratica inaccettabile da chiunque venga fatta e per qualsiasi scopo. Il secondo è l’idea che nell’estate 2011 vi sia stato un complotto internazionale (Bruxelles, Napolitano, gli americani…) per far cadere il governo Berlusconi, cosa che è del tutto cervellotica come sostengo da tempo.

Sono in molti – fra questi il generale Carlo Jean e lo storico Giulio Sapelli – a sostenere che sia abituale spiarsi, anche fra alleati.

Per me è assolutamente indebito anche sul piano del diritto internazionale, soprattutto quando non vi siano motivi emergenziali precisi, e quando le notizie servono per manovre di carattere economico e finanziario che non hanno nulla a che fare con la sicurezza.

È questo il caso?

Tutto nasce all’indomani dell’11 settembre quando il congresso americano vota quasi all’unanimità il Patriot Act che introduceva una serie di misure eccezionali che distorcevano il sistema della legalità tra cui gli speciali controlli su telefoni e internet su scala interna e internazionale.

Sta dicendo che gli Stati Uniti hanno fatto valere una loro legalità rispetto a quella degli alleati?

Nel periodo bushiano, grazie al Patriot Act, le agenzie di intelligence, spesso in concorrenza tra loro, hanno avuto mano libera su un terreno in cui la tecnologia consente qualsiasi cosa in qualsiasi parte del mondo, con lo spionaggio a strascico e i megadati.

Il numero uno della Cia, John Brennan, ha ribadito più volte che la fuga di notizie causata da Edward Snowden ha in un certo senso “istruito” i malintenzionati e reso molto più difficile il contrasto a certi tipi di minacce, compresi gli attacchi jihadisti.

Certo sono i responsabili che decidono che fare, ma ho l’impressione che, con la scusa del terrorismo islamista (che certo non va sottovalutata), le agenzie abbiano fatto tutto quello che volevano anche per rafforzare il loro potere. Non sono sicuro che Barack Obama, quando è entrato in carica nel 2009, conoscesse quel che la Nsa faceva fino all’esplosione del caso Wikileaks.

Sta assolvendo Obama? Cosa è cambiato col presidente democratico?

Io so che il presidente ha lavorato intensamente malgrado un Congresso ostile per fare approvare, al posto del Patriot Act, il Freedom Act; e che ha ripetutamente dichiarato di volere interrompere le pratiche di spionaggio verso i governi alleati e i Paesi amici. Probabilmente così è accaduto dal 2014, con una ripresa del controllo presidenziale sulle agenzie. C’è anche un impegno per il futuro: “non spieremo più”.

L’Italia lo fa con i suoi alleati?

Non so quello che fa l’Italia né di quali mezzi disponga. Ma certamente nell’area mediterranea gli 007 italiani sono sempre stati più che attivi, e a ragione per gli interessi economici nazionali.

Questo episodio incrinerà le relazioni transatlantiche?

Non credo. I fili tra Italia e Stati Uniti sono molto solidi sotto ogni aspetto ed oggi più che mai necessari con il terrorismo che preme alle porte del giardino mediterraneo di casa. Tuttavia spero che mentre si mantengono e si rafforzano i nostri rapporti atlantici, l’Italia faccia valere con dignità le sue ragioni nazionali ed europee, un po’ come face Bettino Craxi a Sigonella.

Al di là della già nota attività dell’Nsa, le intercettazioni confermerebbero per alcuni un ruolo decisivo di Germania e Francia nella fine del governo Berlusconi. Crede che ciò, alla luce del fronte aperto in Europa dal premier Matteo Renzi, possa rendere più semplici le rivendicazioni dell’Italia?

Ripeto che non ho mai creduto al complotto antiberlusconiano, così come oggi non credo a complotti antirenziani. I governi, ieri ed oggi, stanno in piedi o cadono per la loro intrinseca forza e capacità di affrontare le grandi questioni del Paese. Il resto è chiacchiericcio.

Alcuni osservatori ritengono che la tempistica con cui queste intercettazioni sono state rese note – e il fatto che evidenzino che Germania e Francia volessero la caduta del governo Berlusconi – sottintenda un avvertimento a Renzi per la sua battagli anti austerità in Europa. Lo ritiene verosimile? E se no, da cosa dipende questa tempistica?

Germania e Francia – e perché no il Regno Unito che controlla la nostra borsa – sono certo attori pesanti e partner imprescindibili della nostra avventura europea. Ma tutto sta nel nostro presidente del Consiglio e nella sua capacità/incapacità di sapere effettivamente governare con una squadra degna dell’Italia, potenza industriale.



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