Capita che per centrare obiettivi giusti si scelgano bersagli sbagliati. Nelle cronache giornalistiche capita, forse più spesso del fisiologico. Da tempo, infatti, è invalsa in particolare una caccia ai membri della casta, di tutte le caste. Anche se i cittadini, sovente, considerano componenti della casta pure i giornalisti. Ma tant’è.
Per questo è da salutare quasi come una notizia il mea culpa recente che è andato in onda durante La Gabbia, il popolare (e populista, secondo il giornalista e romanziere Guido Mattioni, già inviato del quotidiano il Giornale) programma tv de La 7 condotto da Gianluigi Paragone.
Ecco la precisazione letta da Paragone nella puntata del 28 ottobre.
“Durante la puntata de La Gabbia del 20 maggio scorso avevamo trasmesso un servizio sulla pensione e sul vitalizio del Professor Giuliano Amato. Precisiamo che il Professor Amato non riceve, né mai ha ricevuto, il compenso complessivo mensile pari a 60.000 euro, e non ha mai cumulato la pensione con il vitalizio e con lo stipendio da Giudice della Corte Costituzionale. Dopo la nomina alla Corte, nel settembre 2013, ha chiesto e ottenuto dall’INPS la sospensione della pensione da professore universitario. Il vitalizio invece è stato automaticamente sospeso, per regolamento parlamentare, all’atto della nomina, precedentemente era da anni devoluto in beneficienza. Il reale importo guadagnato ogni mese dal Professor Amato corrisponde quindi al compenso stabilito per i Giudici della Corte. Per i dati sbagliati indicati nel video ci scusiamo con il Professor Amato”.
Non solo: un assiduo frequentatore della stessa Gabbia, ossia Mario Giordano, giornalista e saggista, è stato condannato – come si apprende da pagina 9 del quotidiano Libero del 27 gennaio – perché aveva scelto appunto il bersaglio sbagliato (l’ex premier Amato). Infatti, si legge nella sentenza del Tribunale di Milano (prima sezione Civile), Giordano e la Mondadori sono stati condannati a pagare 50mila euro oltre a spese e interessi legali perché nel libro scritto da Giordano “Tutti a casa” a pagina 34 c’era un brano su Amato che il Tribunale ha stabilito essere diffamatorio e lesivo dell’identità personale.
Il furore anti casta, a volte, produce mostri mediatici che è arduo poi debellare.