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Ecco come gli Stati Uniti fanno anche la guerra cibernetica a Isis

Gli Stati Uniti hanno annunciato di aver condotto operazioni di guerra informatica contro lo Stato islamico. È la prima volta che Washington ammette questo genere di attacchi durante una guerra attiva, fa notare il Guardian. La dichiarazione esce direttamente dalla bocca del segretario alla Difesa Ash Carter durante un incontro con i giornalisti, in cui ha spiegato che l’obiettivo è frenare la forza propagandistica del gruppo, che attraverso i social network genera continuamente proseliti, e interferire nel settore delle comunicazioni militari e dell’economia del Califfato.

LE OPERAZIONI

Il capo dello Stato maggiore congiunto, il generale Joseph Dunford, presente al fianco del Segretario, ha resto noto che la guerra informatica viene utilizzata dal Pentagono con un fine strategico che ha esattamente lo stesso valore delle pianificazioni militari per riprendere Raqqa e Mosul (capitali siriana e irachena del Califfato poste tra i principali obiettivi della campagna “anti-Isis” per il 2016): “In altre parole, stiamo cercando di isolare sia fisicamente che virtualmente l’Isis, limitarne la capacità di condurre command& control, e la capacità di comunicare tra loro, nonché limitare la loro capacità di condurre operazioni a livello locale e tatticamente”.

L’obiettivo è sia sovraccaricare le linee per rendere impossibili le comunicazioni interne in fasi tattiche importanti (per esempio in mezzo a una battaglia in corso), sia entrare nei sistemi online utilizzati dagli uomini di Abu Bakr al Baghdadi soprattutto in Siria. Con questa seconda via, gli hacker del Pentagono possono piazzare virus o malware in grado di disturbare le attività, perché in certi casi, hanno spiegato i vertici militari, è importate mantenere attive le comunicazioni perché possono essere intercettate e permettere di tracciare i leader. Operazioni diverse, come ha sottolineato lo stesso Carter, dalle già note azioni di guerra elettronica con cui per esempio si disabilitavano i sistemi radar. Tuttavia non sono stati diffusi dettagli per evitare di offrire vantaggi “al nemico”.

LA PRIMA VOLTA

Nessuna altra nazione ha pubblicamente riconosciuto il lancio di operazioni di guerra cibernetica, dunque le parole di Carter assumono secondo gli osservatori anche un peso rilevante a livello politico, perché sdoganano definitivamente il cyber warfare, il campo di battaglia cibernetico. La scorsa settimana il New York Times aveva pubblicato un articolo in cui si parlava di un piano di qualche anno fa, definito “Nitro-Zeus”, con cui gli Usa avrebbero pensato di condurre cyber attacchi alle centrali coinvolte nel programma nucleare iraniano: ma anche in quel caso erano state date conferme ufficiali e dettagli aggiuntivi.

IL COMANDO OPERATIVO

A dirigere le operazioni contro l’Isis ci sta pensando il CyberCom, il settore specializzato nelle attività cyber dello Strategic Command di stanza a Fort Meade in Maryland, nella stessa sede dalla National Security Agency (Nsa). Comandato dall’ammiraglio Michael Rogers, il team operativo tra i più segreti del Pentagono riporta nell’assegnazione delle competenze secondo StratCom un ruolo a “spettro completo” nel condurre “operazioni nel cyberspazio”. È nato nel 2009 con il compito di integrare e sincronizzare le risorse informatiche di tutte le forze armate esistenti, e di occuparsi degli aspetti informatici militari sia in modalità difensiva che offensiva. Il ruolo di CyberCom, che per il bilancio del 2016 prevede 6.8 miliardi di dollari di stanziamento, è stato descritto come in cambiamento strategico da cyberdefense a cyberoffense, sebbene sottolinea anche il Los Angeles Times “la dottrina d’attacco rimane segreta”.

APPUNTAMENTI

Questa settimana il segretario Carter incontrerà diverse aziende attive nel mondo di internet e delle tecnologie connesse presenziando alla RSA di San Francisco, importante conferenza annuale sulla sicurezza. Gli incontri di Carter e dei funzionari della Difesa americana con le aziende della Silicon Valley non sono una novità, anche se non strettamente connessi alle azioni di cyber war contro l’Isis annunciate lunedì, ma hanno di certo un valore simbolico. Nelle scorse settimane è stata diffusa online una campagna di minacce dello Stato islamico diretta a Mark Zuckerberg e Jack Dorsey. Entrambi sono accusati dai baghdadisti di aver dato ultimamente un giro di vite sull’uso di Facebook e Twitter (rispettivamente) con cui hanno sospeso e silenziato profili connessi all’Isis.

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