In virtù di una nuova linea di comando decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia.
Secondo indiscrezioni di stampa, una cinquantina di incursori del Col Moschin dovrebbero partire nelle prossime ore per il Paese nordafricano, per sommarsi alle unità speciali di altre nazioni, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, che già da qualche settimana raccolgono informazioni e compiono azioni riservate nell’ex regno di Muammar Gheddafi.
Cosa cambia con questo nuovo strumento? È assimilabile a un’operazione militare? O ne è solo il preludio?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa.
Generale, con una nuova linea di comando decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia. Che cosa ne pensa?
Su questo argomento va fatta chiarezza. Si tratta di un nuovo strumento a disposizione di Palazzo Chigi per offrire supporto temporaneo e in singole operazioni da parte di Forze speciali alla nostra intelligence. Mi sembra perciò naturale che sia l’Aise ad occuparsene.
Ma esiste la possibilità concreta che nostre Forze speciali agiscano in Libia nelle prossime ore?
Sì, ovviamente c’è, visto che ora esiste il quadro giuridico che la consente, anche se al momento non mi risulta che il nono reggimento Col Moschin abbia ricevuto ordini in merito. Forse arriveranno nelle prossime ore, ma al momento non ne abbiamo evidenza né ufficiale né ufficiosa. Sicuramente sono pronti a farlo, perché è compito delle nostre Forze armate quello di prepararsi preventivamente a qualsiasi evenienza, come quella, tragica, che ha portato alla morte di due e alla liberazione di altri due tecnici italiani sequestrati.
Che vantaggi e che svantaggi avrebbe questa nuova modalità di azione?
Io vedo solo aspetti positivi, perché per i nostri 007 avere a fianco Forze speciali, in determinate situazioni in cui si paventano scontri a fuoco o pericoli particolari, non può che far bene. Gli Usa e altri Paesi lo hanno sempre fatto.
Con il nuovo assetto normativo la Difesa avrà un ruolo secondario rispetto alla presidenza del Consiglio?
No, non condivido le analisi di chi lo crede. L’importante è che questo genere di operazioni che – lo ripeto – sono di pura intelligence, seppur rafforzate, non si trasformino in qualcosa di più, ovvero interventi militari. In quel caso sì, si tratterebbe di “un colpo di mano”. Ma finora non abbiamo prove che supportino questa ipotesi.
Con l’impiego di Forze speciali a supporto degli 007 non sarebbe necessario il consueto passaggio parlamentare?
A mio avviso no. Il presidente del Consiglio ha il potere questo di dare il via a questo tipo di operazioni attraverso il sottosegretario delegato alla Sicurezza della Repubblica (oggi Marco Minniti), che poi dispone al direttore del Dis (Giampiero Massolo), che a sua volta trasferisce al numero uno dell’Aise (Alberto Manenti). Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che altro non è che un organismo parlamentare, viene dunque informato delle operazioni, seppur muovendosi in modo riservato. Se poi da attività di intelligence si dovesse passare a un’operazione militare, allora sì che sarebbe d’obbligo informare il Parlamento tutto.
Ritiene possibile che presto l’Italia porti in Libia i cosiddetti scarponi sul terreno in una vera e propria operazione militare?
Se mi dovessi attenere a quanto ascoltato finora dai nostri politici direi di no. Il governo ha fissato dei limiti – insediamento del governo di unità nazionale e conseguente richiesta di intervento – che dice di non voler superare. D’altro canto è altrettanto vero che queste sono probabilmente condizioni che non si realizzeranno mai e che, nel frattempo, la pressione di Washington ed altri alleati perché l’Italia prenda in mano la missione – ruolo che fra l’altro noi stessi abbiamo richiesto – aumenta. Ci potremmo dunque trovare presto in una situazione in cui il nostro intervento sia obbligato. A meno che non si voglia finire come nel 2011. Non aspettiamoci che qualcuno tuteli i nostri interessi al posto nostro. Nessuno si strappa i capelli per farlo.
Non vede possibilità di accordi all’orizzonte?
Al momento no. Si potrebbe però percorrere una strada finora non battuta, che è quella di un modello federale, abbandonando l’idea di un governo unico. Per l’Italia significherebbe perdere qualcosa sul piano dei propri interessi regionali, ma non intervenire militarmente, quindi non avere troppi problemi dal punto di vista politico. Insomma, va fatta una scelta.