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Cgil, Fiom e cooperative tifano Alberto Vacchi in Confindustria?

Di Fernando Pineda e Berardo Viola

Provate ad immaginare la scena. Primavera del 2018, Maurizio Landini, ancora al timone della Fiom dopo aver visto tramontare uno dopo l’altro tutti i suoi progetti di nuova Cosa Rossa, è in scadenza di mandato e si accinge a lasciare. A bordo campo scaldano i muscoli vecchi e giovani leoni del sindacato rosso. D’improvviso, una voce: “Il signor B è il candidato giusto, è un uomo di dialogo”. La voce è quella del Signor C, presidente di Federmeccanica, uno che di solito i giornali incasellano nella categoria “Falchi”. La Fiom va su tutte le furie. La stampa più sensibile alle regole del galateo democratico idem, estrae la fionda e prova ad abbattere l’industriale con gli artigli da rapace. Il capo d’accusa è da togliere il fiato: ingerenza padronale.

Surreale? Veramente è giù successo, solo a parti rovesciate: candidato confindustriale, endorsement sindacale. Ma nessuno ha gridato all’ingerenza. I protagonisti: Alberto Vacchi, patron di Ima, azienda emiliana leader nei macchinari di packaging nonché presidente di Unindustria Bologna, e Bruno Papignani, segretario della Fiom Emilia Romagna, ultimo in linea di successione della dinastia “sandinista” (da Claudio Sabattini, leader Fiom negli anni ’90, appunto soprannominato il sandinista da Ottaviano Del Turco).

Dunque, Vacchi aspira alla poltrona di Giorgio Squinzi e, appena si apre la corsa alla successione, si candida alla guida di Confindustria. Papignani plaude pubblicamente: “Non è Babbo Natale, di certo è uno di quelli che gestiscono le cose diversamente”. Una voce dal sen fuggita? Non proprio. Dietro a Vacchi si muove infatti il “sistema Emilia”. Non solo e non tanto le sedi territoriali di Confindustria, il cui appoggio è comunque certo, ma i poteri che da quelle parti contano. Con la Fiom scendono in campo anche le cooperative: “Sosterremo Vacchi? – dice con aria sorniona la numero uno di Legacoop Bologna Rita Ghedini – Alcune nostre cooperative aderiscono anche a Confindustria…”.

Casomai ci fossero dubbi, dal vertice del sistema cooperativo impartisce la sua benedizione Mauro Lusetti, che di Legacoop è il presidente: “Non sono abituato a commentare le candidature degli altri”, ecco la premessa di rito, e poi una valanga di complimenti fino all’attestato più prezioso, che da quelle parti equivale al bollino di qualità: la disponibilità alla collaborazione o, per meglio dire, a “lavorare insieme”. A questo punto poteva mancare Romano Prodi? No, non poteva. E difatti il Professore ha prontamente fatto pervenire il suo placet. Sugli equilibri confindustriali, si sa, la parola di Prodi incide poco o nulla; i suoi governi, con i quali i rapporti non sono mai stati facili, a Viale dell’Astronomia non suscitano ricordi piacevoli. Ma la mossa dell’ex presidente del Consiglio – che in casa sua è ancora influentissimo – rappresenta il timbro del sistema Emilia alla candidatura di Vacchi.

Al cui fascino, va detto, nemmeno la Cgil resta insensibile. Dell’uomo e dell’industriale Rassegna Sindacale, lo storico settimanale del sindacato guidato da Susanna Camusso, ha tracciato un ritratto commovente. Titolo che è tutto un programma: “Vacchi, il candidato che piace agli operai”. Segue un torrente di lodi, tributate indistintamente da dirigenti e delegati Fiom. Poco da stupirsi. Il giorno della discesa in campo – ci informa sempre Rassegna – Vacchi si è lungamente intrattenuto a colloquio con Landini. Legittimo, per carità. Ma, per riprendere il ragionamento dal principio, cosa succederebbe se lo stesso copione andasse in scena a ruoli invertiti?

Sulla carta il numero uno degli industriali bolognesi esibisce un pedigree impeccabile. Ha trasformato una piccola impresa in una piccola multinazionale (quasi un miliardo di fatturato), e lo ha fatto innovando profondamente processo e prodotto. Non ultimo, ha concluso con i sindacati una serie di accordi – specie il contratto integrativo di gruppo – a prima vista avanzati, ma che ad una lettura attenta rivelano un tratto paternalista piuttosto spiccato.

Il punto è se ciò che va bene per Bologna e l’Emilia va bene anche per l’Italia. Sotto le due torri vigono, in materia di relazioni industriali, leggi non scritte che hanno maggior peso di quelle scritte. Semplificando un po’, ma non troppo, si può dire che una delle più importanti afferma che industriali e Fiom nel privato trasformano in carezze gli schiaffi che si scambiano in pubblico.

Una questione di reciproco interesse, ma anche di sopravvivenza del sistema: i metalmeccanici Cgil sono quasi ovunque maggioranza, talora schiacciante , per cui un accordo con loro è necessario in un modo o nell’altro trovarlo. Ma il ragionamento vale pure a rovescio: per mantenere la loro influenza gli uomini di Landini non possono mandare in malora le imprese, dunque non possono lasciare “il lavoro sporco” – cioè la fatica di contrattare e trovare accordi – agli altri sindacati, come avviene invece su scala nazionale. Gli esempi non mancano. Marchionne chiede di tagliare le pause? La Fiom lo fulmina con la scomunica. Lamborghi taglia le pause più di Marchionne? La Fiom incassa e ringrazia. E lo stesso discorso si potrebbe ripetere per Ducati.

C’è poi chi fa notare in ambito sindacale che l’allungamento degli orari e la maggiore reperibilità che i meccanici Cgil hanno accettato con l”integrativo firmato con l’Ima di Vacchi non sarebbero invece disposti ad accettarli fuori dal “sistema Emilia”.

Tra tutti e quattro i candidati, peraltro, Vacchi è quello che ha sfoderato il profilo più grintoso (“non possiamo calarci le braghe con i sindacati”, addirittura), forse proprio per farsi perdonare la corrispondenza di amorosi sensi con la Fiom e gli endorsement a raffica del “sistema Emilia”. Semmai riuscirà ad issarsi al vertice di Confindustria, quale Vacchi vedremo: il falco della campagna elettorale o la mite colomba che vola leggera tra le pieghe degli equilibri concertativi bolognesi?



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