La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno fatto sapere che in un attacco mirato avvenuto il 4 marzo era stato probabilmente colpito, forse ucciso, il leader dello Stato islamico Omar al Shishani, prominente figura del gruppo, ministro della Guerra, comandante di lunga data, unico europeo (è georgiano) che ha accesso diretto al Califfo e fa parte dell’élite amministrativa dell’IS. È morto? Ancora non è chiaro.
UN’AREA CALDA
Gli americani non erano sicuri di averlo ucciso, ma erano certi di aver colpito il convoglio militare con il quale si stava dirigendo verso Shaddadi, una città del nordest siriano non troppo lontano dalla capitale dello Stato islamico Raqqa, che è in queste ultime settimane teatro di feroci scontri tra Califfato e truppe curde (o meglio, della Syrian Democratic Force, la milizia mista, curdi, arabi, siriaci, formata sotto egida americana per scendere verso Raqqa). I curdi hanno strappato la città, che ha un valore strategico sulle vie di collegamento, allo Stato islamico: i baghdadisti adesso stanno procedendo con una controffensiva.
NOTA EUROPEA (OSSIA TEDESCA)
A proposito di europei e controffensiva, ieri proprio nel sudest suburbano di Shaddadi s’è fatto saltare in aria in una delle solite azioni kamikaze con cui gli uomini del Califfato cercano di sfondare le linee nemiche, un certo Abu Umar al Almani. Sarebbe uno dei tanti combattenti che sceglie (o è portato a scegliere) il martirio come tattica bellica, e non farebbe notizia, se quel nome de guerre non comunicasse esattamente la sua provenienza: “al Almani”, ossia, il tedesco, e la cosa è stata piuttosto celebrata dai media del Califfato che sottolineavano come l’azione fosse stata condotta da un europeo, per altro proveniente da un paese in cui le scelte sull’immigrazione del governo sono state collegate a destabilizzanti faccende di politica interna tramite il link “arrivano i terroristi anche da noi“. Sullo stesso filone: ieri a Berlino un’auto è esplosa nel centro della città, uccidendo il conducente: per il momento la polizia crede che l’episodio sia legato al mondo della criminalità organizzata, ma sebbene non ci siano segnali che si possa essere trattato di un atto terroristico, tanto è bastato per mettere sugli scudi tutti quelli (leggasi populisti e estrema destra, che elettoralmente vanno forte anche nella integerrima Germania) che considerano il paese esposto ai rischi terroristici anche per colpa dell’ingresso nel paese dei migranti. Lo Stato islamico gioca anche con questioni di politica come queste, e comunica nello stesso giorno che un jihadista tedesco ha scelto il martirio in Siria, dando un altro scossone all’opinione pubblica tedesca (figurarsi se dovesse succedere a un italiano, che ridondanza di plastici e lezioni morali ci aspetta).
SHISHANI È MORTO DAVVERO, DICE IL PENTAGONO
Due giorni fa il Pentagono è tornato sulla questione Shishani annunciando che il famoso comandante militare era effettivamente morto per le ferite riportate durante il bombardamento americano insieme ad altri 12 delle sue guardie del corpo (il numero di bodyguard che si porta/va appresso sottolinea la centralità del leader); non morto, ma ferito, era invece la versione ufficiale di Washington fino a poche ore prima. La morte secondo il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdul Rahman, sarebbe avvenuta a Raqqa dove era stato trasportato in gravi condizioni e sarebbe rimasto “clinicamente morto” per alcuni giorni. Il dipartimento della Difesa ha preferito non comunicare come è arrivato alla certezza sull’uccisione – è ovvio, ci sono in ballo metodi e informazioni molto sensibili che potrebbero essere riutilizzate su altri target – ma la CNN sa che i funzionari americani hanno valutato la morte in base alle intercettazioni delle sue comunicazioni: da un po’ di giorni tutto muto, dunque è morto. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano una presenza di intelligence (umana o robotica, droni e satelliti e arei spia) in grado di intercettare le comunicazioni anche degli alti papaveri dello Stato islamico, è una notizia di per sé.
AAMAQ SMENTISCE
Ieri l’agenzia di stampa Aamaq News, un media i cui collegamenti diretti con il Califfato sono stati dimostrati, ha fatto sapere di aver ricevuto informazioni su Omar il Ceceno (al Shishani = il Cenceno), il quale non sarebbe morto, ma addirittura nemmeno ferito.
#ISIS-linked Aamaq Agency denies US claims that Omar al-Shishani is dead, saying “he’s not even harmed”.#ISpic.twitter.com/FN6V2LFFDp
— Amarnath Amarasingam (@AmarAmarasingam) 15 marzo 2016
IL LUOGO DEL BOMBARDAMENTO
Ci sono incongruenze anche sul luogo in cui è avvenuto il raid. Inizialmente si indicava Shaddadi, come detto, ma poi un’altra nota del Pentagono ha indicato che l’attacco è avvenuto ad al Hawl, che si trova circa 80 chilometri più a nord. Non è chiaro perché, e non è chiaro quale sia il posto esatto dove il convoglio di Omar al Shishani è stato centrato.
PERCHE È IMPORTANTE PALARNE
Questi che sembrano aspetti tecnici e quasi accademici della discussione sullo Stato islamico, sono invece abbastanza importanti. Il motivo l’ha spiegato proprio il portavoce del Pentagono, il comandante Peter Cook, che ha detto: “La sua [di Shishani] rimozione dal campo di battaglia avrebbe un impatto negativo sulla capacità di ISIL (che è l’acronimo che l’Amministrazione Obama usa per lo Stato islamico. ndr) di reclutare combattenti stranieri, specialmente quelli provenienti dalla Cecenia e dalle regioni Caucuso, e potrebbe degradare la capacità di ISIL di coordinare gli attacchi e la difesa delle sue roccaforti, Raqqa, Siria, e Mosul, in Iraq “. Ossia Cook dà alla morte di Omar al Shishani un valore strategico centrale che ha anche un peso politico, perché secondo il Pentagono la morte dell’emiro della Guerra potrebbe indebolire l’Isis a Raqqa e Mosul, ossia i due grandi obiettivi che la Casa Bianca ha fissato per il 2016. Riprendere Mosul e Raqqa dal controllo del Califfato significherebbe batterlo, più o meno. Uccidere Omar al Shishani è un punto fondamentale di questa ambiziosa campagna.
L’ALTRA MORTE NON CONFERMATA
Pochi giorni prima dell’annuncio dell’uccisione del georgiano, erano circolate voci (provenienti anche quelle dall’inner circle del Pentagono) che un altro leader dell’Isis era stato ucciso: il suo nome è Abu Athir al Absi, una figura centrale nella storia dello Stato islamico (rilasciato dalle galere siriane), già emiro di Aleppo, ora probabilmente alla guida di un network che gestisce diverse delle comunicazioni del gruppo. Non ci sono conferme neanche di questo decesso, e gli Stati Uniti non ne hanno più parlato dall’inizio di marzo. I due leader si conoscevano, perché ai tempi dell’inizio della guerra civile siriana combattevano entrambi nell’area di Aleppo, in due gruppi indipendenti che soltanto dopo sarebbero diventati parte del Califfato. (Nella foto che risale al 2014 – fonte – al Shishani è quello con la barba rossa, tratto somatico inconfondibile del comandante georgiano, mentre Abu Athir al Absi è l’uomo a sinistra con una folta barba nera).
L’ASSENZA DI CONFERME DA PARTE DELL’ISIS
Di solito lo Stato islamico annuncia la morte dei propri comandanti (e anche dei semplici combattenti), defininedoli martiri. Per il momento l’organizzazione di Abu Bakr al Baghdadi non ha comunicato niente a proposito di Omar al Shishani e Abu Athir al Absi. Potrebbe trattarsi di una tattica, potrebbero non essere morti realmente, i baghdadisti potrebbero attendere il momento adatto. È facile che ai due leader, nel caso siano veramente morti, venga intestata una importante campagna militare, come nel caso del capo dello Stato islamico in Libia, Abu Nabil al Anbari, ucciso da un raid aereo americano, a cui i miliziani hanno dedicato la campagna condotto contro i pozzi petroliferi intitolata proprio “La battaglia di Abul-Mughirah al-Qahtani”, che era il nome che l’iracheno aveva preso in Libia.