Mentre l’opinione pubblica e la stampa internazionale si interrogano sul ruolo del Belgio nello scenario del jihadismo, sugli errori e le falle dell’intelligence e sul futuro dell’Europa in fatto di sicurezza, con il passare delle ore nuovi, scioccanti, tasselli si aggiungono al puzzle degli attentati che martedì scorso hanno sconvolto il cuore dell’Europa. Pare infatti che Salah Abdeslam, assieme a Mohamed Belkaid e Amine Choukri, volessero ripetere a Bruxelles lo stesso copione degli attentati di Parigi.
ATTENTATI BRUXELLES: COLPO DI CODA DELLA RETE BATACLAN
«Purtroppo c’era da aspettarselo. La cosa importante da capire è se si tratta dell’ultimo colpo di coda della rete precedente, considerando che ci sono ancora due o tre persone a piede libero di quel commando e che per attentati come quelli di martedì bastano effettivamente due o tre persone, oppure se si tratta di una nuova ondata di attentati jiahdisti». Ad affermarlo a La Stampa è Felice Dassetto professore emerito, sociologo della religione e luminare dell’Università cattolica di Louvain.
L’ISLAM TRAPIANTATO IN BELGIO
Dassetto, fondatore del Centro per lo Studio dell’Islam nel mondo contemporaneo, è membro della Reale Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, ed è noto per essere stato uno dei primi ricercatori ad aver pubblicato degli studi sull’Islam e sui musulmani in Belgio, tra cui il lavoro pionieristico in materia, L’islam transplanté. Vie et organisation des minorités musulmanes de Belgique, datato 1984.
Nell’ultimo post sul suo blog, all’indomani del duplice attentato all’aeroporto Zaventem e alla fermata metro di Maalbeek, Dassetto ribadisce che il rischio di azioni terroristiche sarà il “normale” status in cui l’Europa e l’Occidente in generale si troveranno per il prossimo futuro e che le nostre società hanno di fatto difficoltà a mantenere uno standby di sicurezza all’altezza della sfida lanciata dal terrorismo.
IL BELGIO. PERCHÉ?
Che il Belgio, poi, sia finito nel mirino dell’estremismo islamico per lo studioso è imputabile a una serie di ragioni. Innanzitutto «c’è una forte componente di musulmani di origine araba. In più ci sono altre due cose: la prima è il discorso salafista diffuso da almeno trent’anni nelle nostre moschee, un discorso per il quale vari gruppi tra cui anche i Fratelli Musulmani hanno preparato il terreno», ha detto. «La seconda è che il Belgio è una società molto liberale, sensibile ai diritti individuali e a quelli di associazione, una caratteristica che associata a uno Stato debole che ha orrore della repressione può aver favorito la lentezza con cui si sono prese le misure difensive contro questa nuova sfida».
«In Belgio – ha aggiunto il professore – anche la criminalità comune ha avuto a suo tempo una certa libertà di manovra e negli anni ’90 ci sono stati molti arresti legati agli algerini della seconda linea del GIA algerino. Ma la sicurezza belga negli anni passati ha anche lavorato bene, sventò un attentato qaedista alla base americana. Il punto è che oggi l’ampiezza del fenomeno Isis è senza misura, si parla di parecchie decine di persone che tornano dalla Siria approfittando dei flussi migratori».
LA PATECIPAZIONE DELLA COMUNITÀ MUSULMANA
La lotta al radicalismo, ha spiegato Dassetto, «si rivelerà difficile senza una maggiore partecipazione dei concittadini musulmani, delle loro associazioni religiose, dei loro capi religiosi, spirituali e intellettuali». Per fortuna in modo più rapido rispetto al passato, enti ed associazioni hanno risposto condannando con forza questi atti. «Quello che mi colpisce in queste circostanze è che, però, si condannano questi atti, ma non si parla né si chiamano in causa in maniera esplicita gli autori».
ISLAM E OMERTÀ
«È una difficoltà – ha continuato – che abbiamo già incontrato in passato, quella di non nominare la natura criminale di questi individui e la loro responsabilità personale come individui. E, nello specifico, come individui che agiscono in nome dell’Islam. Questa incapacità si tramuta in omertà, esattamente come avviene nelle realtà afflitte dalla mafia». Basti pensare alla reazione del quartiere di Molenbeek, all’arrivo di poliziotti e giornalisti durante l’assedio all’abitazione di Salah Abdeslam.
LA DIFFICOLTÀ DI INDIVIDUARE LE RADICI MORALI DEI JIHADISTI
«Ma oltre a questo, è difficile identificare e, di conseguenza, dare un nome alle radici intellettuali e morali di questi “hub” jihadisti di matrice criminale, che evitano di mettere in discussione i mali fondamentali che affliggono il pensiero musulmano, che si rivela incapace, nella maggior parte delle sue formulazioni attuali, di confrontarsi con la società e i tempi in cui viviamo».
UNO SFORZO BILATERALE PER COMBATTERE LA RADICALIZZAZIONE
Per Felice Dassetto è assurdo che «la terza o quarta generazione di giovani credenti musulmani si trovi nella stessa situazione di stallo e di deriva del pensiero delle generazioni precedenti». E quel che è peggio è che non si sa quanto tempo ci vorrà perché la comunità musulmana più “illuminata” «alzi la voce contro tutto ciò, rompa questo immobilismo e metta in discussione l’inadeguatezza del pensiero islamico ordinario all’interno di una società plurale».
Per lo studioso, d’ora in avanti, «ogni sforzo dovrà concentrarsi sulla prevenzione della radicalizzazione, nel mondo dell’istruzione, della gioventù. Anche se è richiesta una risposta immediata, non ci si dovrà limitare a degli espedienti estemporanei contro la radicalizzazione». Nello specifico, sarà necessaria «un’analisi profonda dei processi di radicalizzazione, senza limitarsi a slogan o rimedi last-minute. Sarà necessaria una strategia su più livelli, coordinati tra loro. Bisognerà essere pazienti e perseveranti perché ci vorranno anni per uscire dalla cultura jihadista con le molteplici contaminazioni e derive che l’hanno alimentata».