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Cosa fa la Giordania in Libia

Commandos militari giordani si troverebbero dall’inizio dell’anno in Libia al fianco degli omologhi SAS inglesi: lo scrivono sia il Guardian che Middle East Eye, che sono riusciti a visionare un resoconto molto dettagliato e riservato di un incontro durante il quale re Abdullah di Giordania ha provveduto personalmente ad informare il Congresso degli Stati Uniti di queste attività, che secondo Amman rientrano nell’ottica del loro impegno nella lotta allo Stato islamico.

L’INCONTRO DI GENNAIO

Il monarca giordano, che segue sempre da vicino le operazioni dei propri militari (partecipando talvolta), avrebbe incontrato i legislatori americani l’11 gennaio nell’occasione di una visita ufficiale durante la quale Abdullah era stato ricevuto praticamente da tutti i leader di Washington ad eccezione di Barack Obama, ufficialmente impegnato in altri appuntamenti. All’incontro in questione erano presenti vari senatori e deputati, tra cui John McCain, il presidente della Commissione Forze Armate del Senato, Bob Corker, il presidente della commissione Esteri del Senato, e lo speaker della Camera Paul Ryan. Il motivo della collaborazione operativa in Libia sarebbe legato allo slang arabo giordano, molto simile a quello libico, e dunque utile per raccogliere informazioni e contatti di intelligence: per questo, ha spiegato re Abduallah, le truppe giordane sarebbero embedded con le forze speciali inglesi.

LE VISIONI DI ABDULLAH

Nel memo anche altre informazioni. Una partnership analoga avrebbe fatto consulenza per la formazione di una brigata meccanizzata nel sud della Siria, comandata da un locale e composta da combattenti tribali, creata con lo scopo di combattere le forze fedeli al presidente Bashar el Assad. Altra collaborazione in Kenya, dove unità speciali giordane e inglesi starebbero già portando avanti missioni preliminari contro gli Shabaab, gruppo islamista filo qaedista che opera prevalentemente in Somalia e che secondo Abdullah è la principale minaccia africana (anche il Pentagono lo aveva messo in cima alla lista dei threat del continente); ci sarebbe “una forza di intervento rapido pronta ad andare oltre confine”. Non solo: Abudallah ha detto che il presidente turco Recep Tayyp Erdogan “crede in una radical islamic solution ai problemi della regione” e “il fatto che i terroristi stanno andando verso l’Europa è parte di una sua strategia”. Inoltre ha detto che Google ha riferito alla monarchia giordana di aver 500 dipendenti che stanno dietro ai siti internet connessi con il jihadismo, perché sono le stesse agenzie di intelligence internazionali a volerli mantenere aperti per rendere i militanti tracciabili. Una nota anche su Israele: secondo le informazioni in possesso del sovrano, Tel Aviv si starebbe comportando in modo morbido con la Jabhat al Nusra nelle aree di confine a sud (Quneitra), perché le visioni settarie della milizia qaedista e sunnita farebbero da bilanciamento alla presenza in zona dei combattenti di Hezbollah (sciita).

LA DISCUSSIONE POLITICA INGLESE

Il memo trapelato è ricco di informazioni che stanno facendo molto discutere. Innanzitutto si tratta di una nuova conferma (la prima ufficializzata da un’istituzione) sulla presenza di forze speciali occidentali in Libia, ed in Gran Bretagna la questione è tutta politica, con le opposizioni che accusano il governo di mentire sulle attività che sta portando avanti in Libia; e il governo che risponde che si tratta di operazioni segrete, classificate, e dunque non ne può riferire in Parlamento, ma comunque non ci sono in corso piani più ampi. Qualche settimana fa era stata l’agenzia di intelligence Stratfor a parlare della presenza in Libia di agenti dell’MI6 (il servizio segreto estero) accompagnati da gruppi speciali: il loro ruolo è trattare e scortare membri del futuro esecutivo e prendere accordi per forniture di armi e addestramento da utilizzare contro lo Stato islamico.

I RAPPORTI CON LA CASA BIANCA

L’aspetto più interessante di queste rilevazioni è quello relativo alle sfere di influenza. A quanto pare Abudallah avrebbe riferito al Congresso americano di una serie di attività svolte in partnership con Londra, ossia avrebbe fatto una sorta di confessione di tradimento. Washington e Amman conservano da anni rapporti amichevoli: i giordani sono tra i principali alleati americani nell’area, e gli Stati Uniti hanno ricambiato con oltre 15 miliardi di aiuti economici e militari inviati in Giordania dal 1950 ad oggi. Ma la guerra civile siriana, oltre al tremendo macello umanitario, ha comportato anche uno scombussolamento geopolitico. Amman soffre proprio la crisi umanitaria, una paese di sei milioni di abitanti che si è visto arrivare dal confine siriano oltre 600 mila profughi. Una situazione che nel corso degli anni si è trasformata in frustrazione verso l’atteggiamento troppo disinteressato americano: da lì la ricerca di nuove partnership, a cominciare da quella con gli inglesi, a cui la corona giordana è legata per origini (la Principessa Muna, madre di Abdullah, è inglese di nascita) e con cui ha buone relazioni tra forze armate (il re ha frequentato la Royal Military Academy di Sandhurst, nel Berkshire, dove i monarchi giordani hanno una tenuta).

A fine ottobre era stato annunciato un centro di coordinamento congiunto con la Russia: aveva sede ad Amman, a pochi passi da un altro centro da cui la Cia e le controparti regionali hanno coordinato per anni le attività dei ribelli anti-Assad. Forse a questa ambiguità è legato il contrattempo che non ha permesso ad Obama di incontrare Abdullah durante la sua ultima visita a Washington: dal resoconto risulta anche qualche tirata d’orecchi di McCain e Ryan per la collaborazione con i russi.


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