Seconda parte. La prima parte si può leggere qui
L’elemento principale che accomuna i pezzi del puzzle di tutti i colori, è che tutti combattono per avere accesso alle risorse petrolifere e quindi al denaro necessario per mantenere eserciti e milizie. In un territorio dove le strutture statuali e amministrative non esistono, le uniche due istituzioni riconosciute da tutti e che conservano ancora la loro neutralità grazie alla propria funzione di ridistribuzione della ricchezza, sono la Central Bank of Libya e la National Oil Corporation (NOC).
La NOC mantiene la sua sede a Tripoli, destando quindi i sospetti del governo Tobruk che sta cercando di realizzare una seconda NOC basata a Est. Possiede metà dei giacimenti del Paese e ne cogestisce diversi altri con compagnie petrolifere internazionali, ma non li controlla fisicamente. Questa responsabilità spetta alle PFG: una forza para-militare alleata con il governo di Tobruk e con la LNA ma che spesso sceglie autonomamente alleati e avversari.
L’ISIS ha attuato numerose scorribande in vari campi petroliferi negli ultimi mesi, uccidendo o sequestrando dipendenti ed esercitando un sempre più forte controllo nella zona Sirte – Ajdabiya. L’obiettivo è quello di indebolire le altre fazioni distruggendone la principale fonte di reddito piuttosto che conquistare e sfruttare in proprio le infrastrutture, come invece sta già facendo tra Siria e Iraq sfruttando la complicità turca.
La stessa tattica è in atto anche nel sud, dove Tuareg e Tobous sono in lotta per il controllo dei giacimenti petroliferi nella Ubari – Murzuq.
L’acqua è la seconda risorsa di un Paese in gran parte desertico. Due giganteschi fiumi artificiali – realizzati ai tempi di Gheddafi – permettono di pompare l’acqua nel deserto attraverso acquedotti. Uno a occidente, attraverso Misurata si collega con Tripoli; uno a oriente, attraverso Ajdabiya si collega con Bengasi. Si può quindi comprendere l’importanza di Ajdabiya, attraversata da oleodotti, gasdotti e anche da uno dei due grandi acquedotti. Per questo gli jihadisti esercitano una forte pressione su quest’area come su tutto il golfo della Sirte dove si trovano anche i principali terminali petroliferi.
Ma il controllo della cornice del puzzle è tutt’altro che secondario. I Tuareg non solo hanno accesso ai giacimenti di petrolio e di gas, ma occupano anche due strade strategiche: una arriva a Ghadames e quindi all’Algeria ed alla Tunisia, l’altra arriva in Algeria attraverso Ghat. Queste strade sono utilizzate per diverse forme di commercio, incluso il contrabbando di armi da e per il Sahel.
Anche i Tobous presidiano due strade importanti. Una raggiunge il Niger ed è ampiamente utilizzata per l’importazione di armi perché lungo la zona di confine si trovano due piccoli aeroporti non controllati. L’altra strada consente di raggiungere il Sudan da Kufra; viene utilizzata dai migranti dell’Africa orientale. Inoltre, i Tobous difendono e sfruttano la miniera d’oro in precedenza denominata “Bande d’Aozou” in una zona desertica al confine con il Ciad.
In Libia, l’assenza di un’autorità centrale, le storiche rivalità tribali e la lotta per il controllo delle risorse economiche hanno portato ad una situazione politica terribilmente complessa in cui due deboli governi cercano di ottenere riconoscimento all’interno ed all’estero, ma in realtà non controllano nulla. Infatti, il territorio è occupato da un puzzle di milizie armate ed eserciti privati, i cui capi offrono la loro fedeltà all’ uno o all’altro governo (o ad ISIS), ma che non esitano a ribaltare la loro fedeltà a in funzione della situazione militare o delle opportunità economiche.
In questo territorio regredito all’epoca feudale, è evidente che qualsiasi intervento armato che giunga senza un ampio sostegno da parte delle fazioni belligeranti non avrà altro risultato che ottenere la coagulazione di tutte le tribù attorno a chi sarà in grado di presentarsi come l’autentico difensore del suolo libico dagli invasori stranieri. Il califfato non vede l’ora di poter rappresentare quel difensore.