La spesa militare è aumentata dell’1 per cento nel 2015: un dato che sembra relativamente piccolo, ma che assume un valore assoluto se si pensa che è la prima volta che viene registrato un aumento dal 2011. A rivelarlo è l’annuale report dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), l’istituto di ricerca svedese che lavora dal 1966 in modo indipendente su studi che riguardano il commercio degli armamenti, disarmo, sicurezza, difesa e soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, e rappresenta la fonte di dati più completa e coerente sulla spesa militare globale.
CALO IN OCCIDENTE, AUMENTO IN ASIA E MEDIO ORIENTE
La spesa militare è ancora complessivamente in calo in Occidente, anche se i ricercatori del Sipri credono che questa tendenza si fermerà a breve. Cala anche in Africa e America Latina, dove diversi paesi si trovano a combattere contro importanti crisi economiche che bloccano le casse statali. Asia, Oceania e Medio Oriente sono le aree dove invece si assiste ad un incremento. Il paese che stanzia più fondi nel settore Difesa è ancora gli Stati Uniti: in America il Pentagono riceve quasi seicento miliardi di dollari, nonostante vari tagli negli ultimi anni. Segue la Cina, che spende in armamenti 215 miliardi, in aumento del 7,4 per cento. Il Paese che ha l’incremento maggiore è invece la Russia, con il 7,5 per cento (per un totale di 66 miliardi), il terzo in classifica per la maggiore spesa è l’Arabia Saudita. Una linea chiara: in cima alla lista tutti paesi che hanno intenzione di giocare ruoli centrali nelle proprie rispettive aree geopolitiche.
I LEGAMI DELLE SPESE MILITARI CON IL PREZZO DEL PETROLIO
Negli anni passati, le ricerche dell’istituto svedese avevano fatto segnare un aumento della spesa militare legata in proporzionalità diretta con l’aumento dei prezzi del petrolio: ora la stessa progressione matematica si verifica con la diminuzione del valore del greggio, che ha comportato in molti paesi una riduzione degli investimenti militari. È il caso, per esempio, del Venezuela (-64%) o dell’Angola, oppure del Sud Sudan e dell’Oman, dove la spesa militare rappresenta rispettivamente il 16 e il 14 per cento del Prodotto interno lordo, il quale è in gran parte vincolato alle entrate relative all’estrazione di petrolio (e dunque, se queste diminuiscono, diminuisce anche la disponibilità per comprare armamenti). Russia, Arabia Saudita, e Vietnam, Algeria, Azerbaijan, rappresentano eccezioni a questa tendenza, in quanto sono paesi fortemente dipendenti dal settore energetico-estrattivo, ma hanno fatto registrare comunque aumenti di spesa militare. Si nota che sono tutte nazioni coinvolte direttamente in conflitti militari (o che lo sono state), come la Russia in Siria e in Ucraina, o l’Arabia Saudita in Yemen. Altre, come l’Algeria sono costrette ad armarsi strettamente per ragioni difensive, essendo inserite in un contesto geografico pericoloso, come il Maghreb, dove la minaccia qaedista si somma adesso a quella legata alla presenza delle Stato islamico in Libia e in Nigeria. Il Vietnam, invece, è coinvolto con la Cina e altri stati in dispute territoriali (e geopolitiche) che interessano gli isolotti del Mar Cinese Meridionale. Anche l’Azerbaijan nel corso del 2015 ha aumentato le proprie spese militari, nell’ottica delle tensioni con l’Armenia per il territorio del Nagorno-Karabah.
LA SITUAZIONE IN OCCIDENTE
La diminuzione della spesa per gli armamenti in Occidente (Europa e Stati Uniti) era un trend in corso dal 2009, conseguenza della crisi economica e la sostanziale riduzione degli impegni più importanti e dispendiosi come quelli in Afghanistan e Iraq. Tuttavia la tendenza secondo le analisi del Sipri è in inversione. Il Congresso americano, guidato in tutte e due le camere dai repubblicani, ha creato nell’ultimo anno delle misure legislative per cercare di fermare i tagli al Pentagono, infatti il 2,4 per cento di riduzione fatto segnare dagli Usa è un valore meno forte dei precedenti, dato per altro immutato dalle previsioni sul 2016. L’Europa fa in generale segnare una contrazione della spesa globale, anche se nello specifico gli stati dell’Europa centrale hanno riportato un +13%: si parla di Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania e Slovacchia, ossia gli stati che risentono più da vicino il peso geopolitico russo. Nonostante la situazione attuale, la politica aggressiva russa è in cima alle preoccupazioni di diversi paesi europei, alla stregua della minaccia terroristica creata dallo Stato islamico: per questo Francia, Gran Bretagna e Germania, per esempio, hanno già annunciato una previsione di spesa militare in rialzo per il 2016. Su certe decisioni pesano anche le pressioni americane, che hanno chiesto agli alleati Nato di rispettare l’accordo che prevede l’investimento nel settore Difesa del 2 per cento del Pil di tutti i membri dell’alleanza.