Il lavoro femminile è da sempre il tallone d’Achille dell’occupazione nel nostro Paese. Il tasso d’impiego delle donne, per quanto in crescita, rimane nettamente al di sotto della media Europea: nel 2015 l’occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è arrivata al 56,6% (Fonte: Dati Istat sul Tasso di occupazione). Tuttavia il divario tra occupazione maschile e femminile in Italia è tra i più elevati se non il più elevato del continente: il differenziale è di 17,6 punti contro un dato medio europeo di 10,5 punti. La Germania per intenderci ha il 22,3% di donne occupate in più dell’Italia. Ma anche la Spagna ci supera di quattro punti (Fonte: Eurostat – Statistiche dell’occupazione).
Numeri di questo tipo non si spiegano unicamente con una carenza nella disponibilità di servizi quali il tempo pieno scolastico e gli asili. Il fattore preponderante è una cultura diffusa, che di fatto tende a porre la parte femminile in una posizione marginale nel mondo del lavoro. L’attribuzione pressocché esclusiva alla donna dei compiti di gestione domestica, rappresenta il principale impedimento al decollo dell’occupazione femminile. La suddivisione dei compiti di cura della famiglia tra uomini e donne in Italia vede le seconde dedicare a tali incombenze ben 5 ore e 20 minuti, 3 ore e 45 minuti in più degli uomini; in Svezia, paese con un elevato tasso di occupazione femminile, le donne dedicano alle stesse attività solo 73 minuti (Fonte: Eurostat, 2014). Un altro fattore limitante è la percezione femminile del proprio ruolo professionale: le donne tendono a privilegiare campi occupazionali come l’insegnamento, le lingue, la chimica-farmaceutica, la legge, e l’architettura, per i quali il rapporto domanda offerta è più sfavorevole, rispetto alle professioni tecnico scientifiche. Le aziende, infine, mostrano una certa resistenza nell’attingere appieno al serbatoio della forza lavoro femminile. L’asimmetria tra i sessi nella gestione famigliare non fa che rinforzare la tendenza sfavorevole delle imprese.
Poiché alla radice del fenomeno vi è la cultura, vale a dire i modi di pensare socialmente condivisi che condizionano i comportamenti, il futuro dell’occupazione femminile è nelle mani delle generazioni tra i venticinque e cinquant’anni. Sono coloro che oggi si trovano nel pieno dell’attività produttiva e che sono i genitori delle future leve di lavoratori. E’ loro il compito di ridisegnare il ruolo femminile all’interno del mondo del lavoro e nella “testa” dei propri figli. Allo stato spetta oggi la responsabilità, non tanto di impiegare più risorse nei servizi, cosa per altro problematica in un paese aggravato da un debito smisurato come il nostro, quanto di creare un quadro normativo del lavoro che determini una maggiore parità di genere nella gestione dei figli. E’ il caso dei recenti provvedimenti adottati dal governo, quali la normativa sulle forme flessibili di lavoro a distanza e l’allungamento del congedo di paternità. Anche le imprese possono fare molto, e sicuramente di più di quanto non facciano attualmente. Le migliori aziende per cui lavorare in Italia, quelle della classifica pubblicata da Great Place To Work, mettono in atto politiche e iniziative a favore del lavoro femminile in azienda. Diverse organizzazioni, ad esempio, rendono possibile il lavoro remoto: questa forma di flessibilità non avvantaggia la donna, semplicemente perché gli consente di lavorare da casa, ma anche perché dà maggiori opportunità all’uomo di impegnarsi nella gestione famigliare. Le aziende più avanzate su questo tema stanno veicolando il messaggio ai loro dipendenti che la nascita di un figlio non riguarda solo la madre, ma anche il padre: in questa direzione va il “Dacalogo per papà e mamme” un programma di supporto al ruolo di genitore, che Mellin rivolge a tutti i dipendenti indipendentemente dal sesso.
Le imprese italiane nel loro complesso, tuttavia, sono lo specchio della cultura nazionale che assegna alle donne un ruolo marginale. Gli esempi più avanzati mostrano tuttavia come le soluzioni organizzative a favore del lavoro femminile non solo siano economicamente sostenibili, ma siano in grado di produrre grossi guadagni di produttività. La flessibilità del lavoro remoto ne è un esempio. Una reale parità di opportunità tra uomini e donne, anche sul piano della gestione famigliare, promuove quella meritocrazia che è uno dei maggiori fattori di competitività dell’impresa.